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giovedì 17 aprile 2025
 
 

Marinoni, attrice senza maschere

10/07/2012  La brava e fascinosa interprete, fresca vincitrice del Premio Hystrio, racconta come si cala nei panni di un personaggio: «Non mi chiede di imitarlo, ma di essere vera».

Per capire come nasca un personaggio – per il cinema, il teatro o la tivù, non cambia – è affascinante ascoltare quello che ci racconta Laura Marinoni, fresca vincitrice del Premio Hystrio all’interpretazione, uno dei massimi riconoscimenti della scena: «Mi diverto a immaginarmi fisicamente la persona che dovrò incarnare, modifico il mio modo di osservare la realtà in funzione di quel ruolo», dice. «Il vero lavoro, però, è conoscere a fondo l’autore: in qualunque personaggio, c’è sempre il cuore dell’autore». E lo spiega facendo riferimento a Petra von Kant, interpretazione che le valse il Premio Duse nel 2007: «Si pensa che Rainer Werner Fassbinder sia un trasgressivo, invece ho scoperto in lui una tenerezza ai limiti della commozione: donna ricca, bella e arrogante, Petra si toglie tutte le maschere, fino a restare solo anima, solo... pietra».

Il ragionamento diventa ancora più stringente se applicato all’ultimo personaggio teatrale della Marinoni, Blanche di Un tram che si chiama desiderio, grande successo di critica e pubblico: «Mi vengono i brividi a pensare a quanto di Tennessee Williams c’è in lei; una trasparenza totale, che mette l’attore e lo spettatore nella condizione di non avere pregiudizi e di assumersi le proprie responsabilità. Blanche è delicata e perciò fragile e perciò sincera e perciò pura. E perciò destinata a soccombere, in un mondo in cui prevalgono la finzione e la menzogna». L’onestà dell’autore non è senza ripercussioni per l’interprete: «Se lui è stato così coraggioso nello svelarsi – ho pensato – io lo devo essere altrettanto». 

Per questo ruolo Laura ha guardato diversi film, trovando ispirazione soprattutto nelle Onde del destino: «Ho fatto lo stesso lavoro di Emily Watson: eliminare cliché e atteggiamenti a effetto per essere vera. L’attore deve essere crudele con sé stesso, conoscersi bene... Non giudico mai i miei personaggi, mi sforzo di coglierne luci e ombre, perché nessuno di noi ha un colore solo. La differenza fra caratterizzazione e interpretazione sta tutta qui. Imitare è facile, altra questione è avere capacità di interpretazione». E per dimostrarlo chiama in causa niente di meno che Marilyn Monroe: «Allo Stabile di Torino, dove insegno, ho utilizzato il racconto che ne ha fatto Truman Capote, in cui emerge chiaramente che lei seduceva in forza del contrasto fra un’anima candida e un corpo prorompente. Anche per capire una donna del genere, apparentemente tutta costruita sull’esteriorità, bisogna partire dal di dentro».

Se così impegnativo è il lavoro dell’attore, non sorprende che molto, di ogni personaggio, gli resti addosso. «Ogni interpretazione affina la sensibilità, conduce un passo oltre, e tutto, ne sono certa, arriva allo spettatore. Al cinema si può restare passivi, a teatro no: attore e spettatore ne escono trasformati. E poi l’attore deve saper vivere, ricordare che non c’è solo la scena, e che anche il suo valore artistico è correlato alla quantità e qualità della sua esperienza di vita».

In carriera Laura ha lavorato con i più grandi registi. «Il mio primo maestro è stato Patroni Griffi: mi ha “vista” prima che io stessa mi “vedessi”. Giorgio Albertazzi mi ha rivelato un’incredibile capacità di cambiare ruolo, una duttilità sconfinata. Giorgio Strehler l’ho conosciuto negli ultimi anni della sua attività: era innamorato della vita, prima che del teatro. Sono felice di aver incontrato Luca Ronconi quand’ero già formata: trovarsi all’interno di un suo spettacolo può stritolare, se si è ancora inesperti, o esaltare, se non si ha soggezione. E nell’ultima fase della mia carriera sto lavorando con Antonio Latella (vincitore del Premio Hystrio alla regia, ndr), un coetaneo per il quale sento fratellanza».

Presto Laura sarà di nuovo al cinema con Eva dopo Eva, titolo provvisorio
di un film di Sophie Chiarello, con, fra gli altri, Angela Finocchiaro ed Elio delle storie tese: «Finalmente un ruolo brillante, non drammatico (purtroppo si tende a rinchiudere gli attori in schemi fissi). In una società che punta sulla bellezza da cartolina, racconta con ironia la storia di alcune commesse cinquantenni alle prese con l’invecchiamento, chiamate a reinventarsi». Proprio quello che fa l’attore in ogni spettacolo, e ciascuno di noi a ogni tornante della vita.

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