“Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia molto unita. Non ricordo un litigio coi miei tre fratelli. Papà Salvatore, che ho perso presto, era carabiniere ed ebbe come suo comandante a Milano Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il suo lavoro ci portò a girare mezza Italia, da Salerno a Montecagnano, ad Avola. Ma è a Ragusa che ho vissuto gli anni più belli della mia giovinezza, quelli che non si dimenticano”, racconta don Fortunato.
La mamma si chiamava Salvatrice, proprio così, ed era casalinga. A scuola era uno studente brillante, componeva pure poesie con le quali vinse anche concorsi. Ma già allora non riusciva a stare tra le righe. Era un contestatore e assieme un cattolico convinto. Al mattino occupava il municipio per protestare conto l’abolizione della stenografia nell’istituto di ragioneria che frequentava, al pomeriggio non perdeva una messa. “Tutto casa e chiesa, a tal punto che non ricordo un giorno trascorso senza comunicarmi, una volta ricevuta la Prima Comunione”. A suo modo, un record.
Stavolta don Fortunato di Noto, il sacerdote che l’Italia conosce per il suo impegno contro il mondo della pedopornografia, presidente e fondatore dell’associazione Meter, non parla degli altri: dei bambini traditi e violati; dei pedofili che va a scovare nei loro bordelli digitali. Stavolta il prete siciliano parla solo di se stesso. Non lo fa mai, almeno pubblicamente. Ma 25 anni di sacerdozio, celebrati pochi giorni fa, in mezzo alla sua comunità di Avola, sono uno di quei traguardi che spingono a un bilancio di vita ed evocano tanti ricordi.
Per esempio, ricorda com’è nata la sua vocazione?
“Dio, nella mia vita s’è fatto vedere un po’ alla volta. Da giovane ero troppo esuberante, un rivoluzionario. Ma forse era solo timidezza: i giornali si occuparono di me già all’età di 15 anni. Papà, che non riuscì a vedermi prete, mi diceva spesso: ‘Sei cattolico e devi morire cattolico’. Ho scoperto la vocazione negli orfanotrofi che visitavo. Ho visto per la prima volta il volto di Gesù in quello di quei bambini. Ma nessuno avrebbe scommesso nulla su di me come sacerdote”.
E invece…
“A Ragusa, in una notte d’insonnia mi alzai e mi misi a scrivere una poesia che iniziava così: ‘E’ finito il tempo d’aggrapparmi agli specchi..’. Poi aprii il piccolo vangelo che tenevo sempre con me in tasca e mi fermai casualmente al versetto 10,44 di Marco: ‘Chi vuol essere primo tra voi, si farà servo”. Quella notte decisi d’entrare in seminario. Avevo 24 anni.
E poi?
“Il 3 settembre 1991 fui consacrato. Il vescovo, però, che voleva affinassi i miei studi, mi diede due anni per andare a Roma a studiare psicologia, prevedendo quello che poi avrei fatto, invece io m’iscrissi a Storia, la mia passione.
Ed ‘è lì che s’imbattè per la prima volta con la pedofilia online. E’ così?
Sì, incontrai alcuni colleghi americani che mi fecero conoscere internet che in Italia allora, era il 1989, era ancora allo stato pionieristico. E m’imbattei per la prima volta in un sito pedopornografico. Ritornavo a incontrare minori infelici. Capii che la mia missione era di essere prete, amare questa chiesa e stare dalla parte dei più piccoli”.
E come parroco che storia ha don Di Noto?
“L’allora vescovo di Noto, Salvatore Nicolosi, mi propose di andare ad Avola per guidare la parrocchia della Madonna del Carmine, la più povera della diocesi, e dove nessuno voleva andare. Accettai e da 22 anni sono parroco lì. Negli anni ho sfiancato più automobili, girando in lungo e in largo la Sicilia e il Paese, ma nonostante i miei tremila convegni in giro per l’Europa in 20 anni, in parrocchia non è mai mancata la messa quotidiana”.
Ad Avola ha fondato Meter, in difesa dei minori abusati, ma non solo…
“All’inizio si aiutavano le famiglie coi padri in carcere. Poi s’è aperta una sede di “Superabili” per i ragazzi con handicap e un centro per bambini autistici. Non ho mai pensato al mio impegno contro la pedofilia come totalizzante. Un prete è se stesso solo se è in mezzo al suo popolo. Faccio pure il Vicario foraneo, ho insegnato per 25 anni Storia della Chiesa e adesso faccio l’insegnante di bioetica”.
E poi l’incontro con l’infanzia tradita e violata. Nel 1995 s’imbatte in una storiaccia in parrocchia. Giusto?
“Sì, e da lì non mi sono più fermato. Ricordo che in quegli anni non c’era ancora nessuna legge contro la pedofilia. Poi, nel 1997, il Parlamento italiano approvò all’unanimità, una mozione, che impegnava lo Stato a varare una legge ad hoc sulla pedofilia. Era il primo parlamento al mondo che s’occupava di questa delicata materia. E la mozione prese il mio nome”.
Agli inizi pochi vedevano di buon occhio il suo impegno in rete contro la pedopornografia. E’ così?
“Sì, anche in seno alla chiesa non godevo di molte simpatie per questo mio impegno. ‘Ma che vuole, che cerca ‘sto prete’ più d’uno diceva. Oggi, però, la coscienza su questo tema è cresciuta tantissimo, anche grazie agli interventi degli ultimi papi sulla questione”.
Lei ha subito intimidazioni o minacce?
“Sì, sono stato minacciato di morte in più occasioni. Una volta uno m’aveva mandato a dire che m’avrebbe sgozzato. Individuato, è stato poi condannato. Per due anni ho avuto anche la scorta, poi ho detto basta. La mia scorta è il mio angelo custode”.
Qualcuno dice che lei s’occupa di pedofilia per finire sui media.
“Lo so. Ma rispondo: come avrei potuto altrimenti far conoscere questi delitti? Se non avessi avuto a fianco i media, saremmo ancora all’anno zero. Io ci metto la faccia e mi espongo. Ancor oggi, per sicurezza, devo avvisare di ogni mio spostamento. Ogni volta che vado in tv, mi ritrovo una nuova minaccia. E’ evidente che a qualcuno non piace che sia un prete a fare queste battaglie. Sono scomodo. Se ne facciano una ragione”.
Ma quante ore ha la sua giornata?
"Mi alzo alle 5,30 e vado a dormire alle 3 di notte, così riesco anche a studiare. Dedico ancora mezz’ora al giorno alla caccia in Rete, ma ormai il grosso del lavoro lo fanno i miei collaboratori. Al pomeriggio mi concedo un riposino di un’altra mezz’ora. Avrò tanto tempo per dormire…poi”.
Per il mondo è il sacerdote “antipedofili”. Le sta bene questa definizione?
“M’infastidisce. Sono solo un prete. Se proprio devono etichettarmi, preferirei “missionario nelle favelas del web”: con una sola delle migliaia di denunce di Meter abbiamo liberato, di recente, 150 bambini delle periferie di San Paolo, vittime della pedopornografia”.
Un rimorso di coscienza?
“Due. Il primo: Ero giovane parroco a Noto. Una notte sento bussare alla porta della chiesa. Scendo dalla camera, apro e mi trovo un uomo tutto inzuppato dalla pioggia. Lo invito a entrare. ‘No, padre, mi basterebbe solo un paio di calzini asciutti’, mi risponde. Dopo aver trovato nell’armadio solo i calzetti della mia ordinazione, mentendo, gli dico che non ne ho affatto. Lo ritrovarono morto una settimana dopo. Per il paio di calzetti mi ero giocato un pezzo di paradiso”.
Il secondo?
“Una notte mi sveglia il telefono. Era una ragazza che mi chiede di poter essere confessata subito. La invito a venire il giorno dopo. Qualche giorno dopo ho scoperto che s’era uccisa buttandosi giù da un palazzo. L’avevo trascurata. E questa è la coda del demonio".
Venticinque anni di sacerdozio: un traguardo o una partenza per qualcos’altro?
“Il tempo diventa breve. Ma siccome il tempo è di Dio, quale sia il mio tempo so che non posso tirarmi indietro. Amo la chiesa, è mia madre, e nessuno può calpestarla. Ma devo anche guardare al cielo e alla Madre celeste che tiene in braccio un bambino. Le famiglie devono sentire questa tenerezza della Chiesa nei confronti dei piccoli. Gli infanti oggi sono i più poveri tra i poveri, anche se sono nati in famiglie ricche. Sogno una chiesa bambina, piccola e povera. Il mio ministero pastorale riparte da lì”.
Bilanci di vita?
“Quando morirò, se ci saranno al funerale prostitute redente e famiglie ricostruite, allora per me ci sarà speranza”.