Non è un caso che Credere , il nuovo settimanale popolare su temi religiosi della Periodici San Paolo, sia nato durante l'Anno della fede voluto da Benedetto XVI con l'obiettivo, ha spiegato il Papa, di «riscoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne ».
Con un linguaggio chiaro e semplice, infatti, la nuova rivista, in edicola e in parrocchia dal 4 aprile, vuole raccontare i grandi eventi della vita della Chiesa, a cominciare dai primi passi da pontefice di Jorge Mario Bergoglio, riscoprire la storia dei grandi santi e presentare al pubblico l'esperienza spirituale, spesso nascosta, di tanti personaggi del nostro tempo, famosi e no . Conversioni incluse.
Le cento pagine della rivista sono suddivise in tre sezioni: Via , dove si dà spazio ai testimoni della fede e alle loro storie; Verità per approfondire, attraverso interviste, dialoghi e interventi di studiosi e religiosi autorevoli, i contenuti della fede cristiana con uno sguardo niente affatto scontato sulle Sacre Scritture e Vita , dove trovano spazio gli eventi e i gesti del cristianesimo. L'appuntamento fisso con le Letture del giorno offre ai lettori una bussola quotidiana sulla liturgia.
Nel primo numero, che costa soltanto 1 euro, ampio risalto viene dato all'inizio del pontificato di papa Francesco e alla celebrazione della sua prima Pasqua. Dalle foto esclusive alle analisi di esperti e vaticanisti, vengono raccontati i piccoli gesti e le scelte del Santo Padre che hanno sorpreso e sedotto il mondo. A cominciare dalla spiegazione che il Pontefice ha dato sulla bellezza della fede: «La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall'aver incontrato una persona: Gesù ».
A supporto del giornale, con il dichiarato intento di offrire notizie aggiornate e di essere foro di discussione, è già attivo da giorni anche il sito: www.credere.it
Antonio Sanfrancesco
Alla riscoperta del Vangelo vissuto giorno per giorno. Tra le
fatiche, le gioie, i dolori, i pensieri che assillano tutti e ciascuno a
scuola, in ufficio, in fabbrica, a casa. La religiosità “del popolo”, che
talvolta può essere riduttivo definire soltanto “popolare”, è molto radicata in
Italia. Di essa, al netto di alcune esagerazioni, il Paese può e deve
andare fiero perché, se cordialità e misericordia sono ancora virtù apprezzate
e praticate da molti, lo si deve proprio a un cuore che è stato alimentato da
questo diffuso sentimento di fede.
A tutto questo vasto mondo desideriamo dare voce, volto e dignità di stampa.
Dal
4 aprile una nuova rivista, Credere , affianca
altre due testate pubblicate dalla Periodici San Paolo (il settimanale Famiglia
Cristiana e il mensile Jesus )
differenziandosi proprio per il suo dichiarato intento di
raccontare la fede “semplice”. La fede di un popolo. Il nostro. Non
una fede astratta, beninteso. Ma una fede viva. Incarnata. Che sa farsi
comunione: gli uni a fianco degli altri verso un comune destino eterno.
Il settimanale
Credere punta, inoltre, a valorizzare esperienze di
fede, eccezionali nella loro normalità, vissute in famiglia, in classe, sul
posto di lavoro, in parrocchia, in un gruppo ecclesiale. Intendiamo portare
alla ribalta realtà diverse con lo spirito dei compagni di viaggio, senza
ergerci a maestri di nessuno.
Saverio Gaeta, Vicedirettore di Credere.
Il giornale è stato concepito proprio con questo intento, dall'editoriale
d'apertura, non a caso intitolato Insieme , all'ultima pagina, volutamente
chiamata Ite misse est , perché quel "La Messa è finita, andate in
pace" invita a rimboccarsi le maniche e a incamminarsi nel mondo,
continuando a condividere anche all’esterno della chiesa l’esperienza di
bellezza e di “gioia della fede” (come abbiamo voluto scrivere nel sottotitolo
della testata), per raccontarci lungo le vie del mondo i segni dell'amore che
salva.
Saverio Gaeta,
Vicedirettore di Credere
(Ansa).
Dire che i fedeli ripongono aspettative enormi in papa Francesco è una banalità. E' così per ogni nuovo Pontefice e in ogni caso con la rinuncia al trono petrino da parte di Benedetto XVI si è aperta per la Chiesa una stagione nuova e ricca di novità persino sconvolgenti. Non per questo, però, le aspettative dei fedeli sono meno interessanti o indicative di quanto ferve nell'animo del popolo di Dio. E le testimonianze che i giornalisti di Credere hanno raccolto presso fedeli di ogni età ed origine sono di questo un'ottima dimostrazione.
Le priorità per papa Francesco? I giovani e la famiglia, dice Sandra, 48 anni, avvocato di San Donà di Piave (Verona). La segue su questa strada Benny, 25 anni, imprenditore edile di Bari, che considera "prioritario il riavvicinamento dei giovani alla fede cristiana" e sempre all'allontanamento dei giovani dalla Chiesa vorrebbe che fosse dedicata la prima enciclica di papa Francesco.
Ri-evangelizzare: questa sarebbe la parola d'ordine per Giovanni, 46 anni, di Giugliano (Napoli) e Maria Pia, 56 anni, catechista di Napoli. Ma come? Attraverso il dialogo e "il confronto con tutti" sostengono don Maurizio, 46 anni, parroco a Livorno, e Chiara, 26 anni, volontaria di Roma, che invoca "l'incontro con tutti quelli che sono e si sentono lontani dalla Chiesa".
E la Chiesa? Come la vorrebbero i lettori di Credere, avanguardia di quei cattolici che siedono accanto a noi sull'autobus o prendono il caffè la mattina al banco del nostro stesso bar? Con meno "ostentazione e meno machismo", dice suor Daniela, 67 anni missionaria in Ecuador. Con un "volto più sobrio, essenziale e umano", dice invece Marta, 22 anni, studentessa di Gallarate (Varese). E magari capace di "dare maggiore fiducia ai laici", come puntualizza Francesca, 47 anni, insegnante di Trento.
Così parlò il popolo di
Credere. Ma un piccolo ed interessante esperimento può essere condotto confrontando il suo parere, raccolto in molte testimonianze sul primo numero della nuova rivista
dopo l'elezione di papa Francesco,
con quello espresso dagli utenti di Famigliacristiana.it prima dell'elezione. Noterete un'assoluta analogia di temi. Il che innegabilmente significa che le emozioni degli ultimi due mesi non hanno per nulla cambiato il sentimento profondo del popolo di Dio.
Fulvio Scaglione
La maggior parte degli autori che in questi ultimi anni stanno indagando il rapporto tra gli italiani e la fede sta osservando
un progressivo cambiamento nell’approccio alla religiosità, alla pratica e, in ultimo, al credo religioso nel nostro Paese. Un processo lento, ma costante, che ha avuto una forte accelerazione con le generazioni nate negli anni ’70 e che sta facendo emergere dinamiche nuove sia tra i giovani (nella fascia intorno ai 20 anni), sia tra i 40-50enni. Il fenomeno più evidente non è tanto quello della secolarizzazione e della scomparsa della dimensione religiosa dalla scena sociale, così come previsto alcuni decenni fa, quanto quello della parcellizzazione della fede, che diventa sempre più una esperienza individuale, parziale, particolare, che ogni persona vive e taglia su misura in base alle proprie esigenze.
Una religione e una fede meno legate all’appartenenza strutturata ad una Chiesa e più impulsive, irrequiete, meno ancorate alla comunità territoriale e più strettamente connesse a comunità elettive, dove ci si riconosce reciprocamente e ci si rispecchia. Si tratta dell’onda lunga dei processi di cambiamento in corso in questa fase di transizione dall’epoca industriale all’era contemporanea, ben descritti da Rifkin (Rifkin 2000) e caratterizzati dalla de-materializzazione dei processi produttivi e dalla ristrutturazione dei processi relazionali e sociali attorno ai nuovi principi fondativi (la connettività, la personalizzazione, la fusione emotiva, il superamento dei limiti della fisicità, la molteplicità dei sistemi di costruzione di senso).
Se tradizionalmente la religione e le Chiese hanno sempre avuto una funzione importante dal punto di vista sociale, come strumenti di trasmissione dei valori e della morale, oggi questo processo si è decisamente allentato di fronte alla pluralità dei sistemi di costruzione e narrazione dei valori in cui ognuno di noi è inserito. La fede diventa più scelta individuale che scontato risultato di una appartenenza sociale. Essere cristiani oggi, sentirsi cristiani, dichiararsi cristiani non è semplicemente il risultato indotto derivato dal fatto di essere nati e cresciuti in un particolare contesto socio-culturale (di chi è nato e cresciuto in un contesto in cui il cristianesimo è la condizione standard e quindi ha fatto sua in maniera spesso acritica questa appartenenza), ma sempre più il risultato di un lungo percorso di scelta più o meno consapevole.
Dal cristianesimo di appartenenza stiamo transitando verso un cristianesimo di elezione, che avrà indubbiamente numeri più ridotti di un tempo, e dove cambia in maniera importante anche la modalità stessa con cui ci si approccia alla fede, con la tendenza alla costruzione di piccoli gruppi clanici elettivi, a volte anche fortemente contrapposti, pur all’interno della medesima esperienza religiosa.
L’esperienza di fede diventa quindi sempre più individuale, meno dipendente dalla base sociale del territorio in cui si vive e si cresce, ma al contempo molto più social, ovvero molto più connessa, sollecitata e suggestionabile dal modo in cui all’interno dei diversi contesti di appartenenza viene rappresentata e narrata l’esperienza di fede. Per quanto l’ambito familiare continui ad essere un luogo chiave di formazione alla fede (secondo i giovani italiani la propria madre è stata il personaggio più significativo per la costruzione della propria fede), la nostra idea di Chiesa, di religione, viene sempre più influenzata da un articolato insieme di narrazioni che trascendono dalla nostra esperienza individuale diretta, ma che, in base alla forza dell’audience che questi fenomeni riescono ad avere, incidono nelle nostre rappresentazioni e nei nostri vissuti.
E’ di pochi mesi fa il caso del parroco di Lerici che ha esposto nella bacheca della sua parrocchia un testo in cui esprimeva opinioni per nulla condivisibili e condivise sul tema della violenza contro le donne e che, in poche ore è diventato un caso nazionale, con un’audience enorme e con servizi televisivi, articoli, commenti, post sui social network che ne hanno amplificato la portata ben oltre le intenzioni del povero curato. Quel volantino, i cui contenuti vent’anni fa non avrebbero superato i confini della sua comunità religiosa, ha dato origine ed è stato utilizzato in maniere assai diverse, per costruire una molteplicità di narrazioni della Chiesa contemporanea, divenendo una rappresentazione non solo del pensiero di quel parroco, ma della Chiesa che lui in quel momento rappresentava . Il fatto in sé ha ampiamente trasceso i confini territoriali e situazionali per essere fatto proprio dai diversi clan (giornalisti, comitati per la difesa delle donne, detrattori e sostenitori della chiesa, ecc…), reinterpretato, ridefinito, ri-narrato secondo gli schemi e le aspettative proprie dei diversi clan e assumendo una forma assai diversa laddove l’interpretazione era affidata ad un clan più vicino o più lontano alla Chiesa e alla specifica situazione della comunità di Lerici.
Il sociologo Riccardo Grassi.
Nella società iperconnessa, ognuno di noi fa parte di più clan elettivi, formati da insiemi di persone con cui siamo in relazione fisica o virtuale, con i quali condividiamo esperienze, emozioni, letture ed interpretazioni del mondo. Questo accade rispetto alla politica, allo sport, ai consumi culturali e anche rispetto alla fede. Le relazioni liquide, il diradarsi dei legami di comunità ci porta ad aggregazioni tra simili in cui si accentuano gli elementi di riconoscibilità e di rispecchiamento interni al gruppo e, allo stesso momento, si amplificano gli elementi di differenza rispetto all’esterno.
Ecco allora che esiste una molteplicità sempre più variegata di essere credenti. Secondo una rilevazione SWG del febbraio 2012, in Italia il 12% della popolazione si definisce non credente, il 21% esprime un variegato insieme di credenze religiose dalle più tradizionali alle meno strutturate, il 67% si definisce cattolico . Tra questi, tuttavia, la varietà dei clan è massima e non si misura solo nel grado di intensità con cui si vive la propria religiosità. Non è solo una questione di praticanti e non praticanti, ma anche tra i praticanti più assidui si assiste ad una molteplicità di clan ognuno dei quali esprime una propria specificità costruendo narrazioni articolate e contrapposte.
All’esperienza clanica, inoltre corrisponde sempre più anche un rilevante dinamismo biografico, per cui possiamo parlare di vere e proprie “carriere di fede”, durante le quali l’intensità della fede cambia nel tempo, in funzione degli eventi della vita individuale, delle appartenenze claniche, delle macro-narrazioni che vengono elaborate a livello globale rispetto alla chiesa e alla religione.
In un mondo che sta cambiando rapidamente, anche le modalità con cui si vive e si sviluppa la fede si evolvono, dando vita non più a grandi movimenti, ma a micro biografie individuali e claniche, che mutano costantemente nel corso della vita. La fede, la pratica, l’appartenenza religiosa non è data e nemmeno acquisita una volta per tutte, ma rappresenta sempre più una traiettoria che cambia nel tempo e che, ad ogni incrocio può cambiare direzione.
Riccardo Grassi
Sociologo,
ricercatore SWG,
Istituto Superiore di Studi Religiosi di Novara
Bibliografia di riferimento
Garelli F (2012) “Religione all’Italiana”, Il Mulino, Bologna
Marchisio M (2010) “La religione nella società degli individui”, Franco Angeli, Milano
Rifkin J (2000) “L’era dell’accesso”, Mondadori, Milano
Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria e collaboratore di Credere. Foto di Paolo Siccardi/Sync.
Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, è una delle "firme" del settimanale Credere . Qual è la sua storia? Come diventa il personaggio noto a tutti? Ripresentiamo ampi stralci dell'intervista pubblicata da Famiglia Cristiana sul numero 31 del 2011. E il video girato in quell'occasione.
Amato.
Amatissimo. Ma anche discusso. E, talvolta, criticato apertamente. Una cosa è certa: padre Livio Fanzaga non lascia indifferenti. Prendere o lasciare. Lui ovviamente sa che una parte del mondo cattolico non gli batte le mani, anzi. La cosa non lo turba più di tanto . Accetta la pluralità di opinioni, a patto beninteso che i diversi modi di pensare non sfiorino i dogmi di fede né i cosiddetti valori non negoziabili, tra i quali, comunque, accanto alla difesa della vita, della famiglia, della libertà religiosa e di quella d’insegnamento, inserisce anche la giustizia sociale («sono orgogliosamente figlio di un operaio») e la pace («fui segnato ch’ero bambino dall’angoscia dovuta al bombardamento che il 6 luglio 1944 colpì l’acciaieria dove lavorava mio padre e che per poco non mi rese orfano»).
In oltre un’ora e mezza di colloquio manifesta un solo fremito d’insofferenza, destinato peraltro a sfumare in un sorriso. Accade quando gli si riporta l’accusa di eccessivo devozionismo: «Ma dai, questa no. Radio Maria è un’emittente colta accessibile a tutti. O forse dà fastidio che casalinghe e camionisti ragionino in diretta di questioni teologiche?».
VIDEO
Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria e collaboratore di Credere. Foto di Paolo Siccardi/Sync.
– Quand’è diventato il padre Livio Fanzaga che tutti conosciamo?
«Nel 1985. Quell’anno segna uno spartiacque tra un prima e un dopo».
– Cos’è successo?
«Andai per la prima volta a Medjugorje. Fino a quel momento coltivavo
una devozione mariana senza particolari acuti. Nessun pellegrinaggio a
Lourdes o a Fatima, ma solo tanto studio e tanta attività pastorale per e
con i giovani. Quel viaggio mi cambiò».
– In che senso?
«Ho avuto l’intima certezza che lì appariva davvero la Madonna. E che la
mamma di Gesù mi spronasse a percorrere la strada dell’apostolato
radiofonico. Dal 1988 ho contribuito a trasformare Radio Maria da
emittente parrocchiale a emittente nazionale al servizio del Vangelo e
della Chiesa. Oggi siamo una realtà globalizzata. In tutto il mondo si
contano 62 Radio Maria (compresa quella italiana, ndr ), 1.400
ripetitori, 18 mila volontarie 30 milioni di ascoltatori. Solo nel
nostro Paese, i ripetitori sono quasi mille, più di quelli della Rai, e
gli ascoltatori sono 1 milione e 700 mila al giorno (la media
settimanale è di 5 milioni); centinaia di volontari si alternano alla
consolle e negli uffici; 65 studi mobili ci consentono collegamenti con
parrocchie e santuari. Il bilancio è pubblico:l’editore è
un’associazione; le spese – circa 19milioni di euro all’anno – sono
coperte dalle offerte degli ascoltatori e dal 5 per mille».
– Chi era padre Livio prima del 1985?
«Sono nato l’11 novembre 1940 in una frazione di Dalmine, in provincia di Bergamo. Ho respirato serietà e fede fin da bambino».
– Quando sentì la vocazione?
«A 14 anni. Volevo diventare missionario del Pontificio istituto
missioni estere e andare in Cina. Affascinato dall’impegno educativo dei
padri Scolopi, fondati da Giuseppe Calasanzio, un grande santo spagnolo
vissuto a cavallo tra il 1500 e il 1600, mi unii a loro. Sono ancor
oggi un religioso scolopio a tutti gli effetti. Faccio quel che faccio
in piena sintonia con i miei superiori».
– Quand’è stato ordinato sacerdote?
«Il 19 marzo 1966. Ho vissuto quella grande Pentecoste che fu il
concilio Vaticano II conoscendo e frequentando maestri come padre padre
Ernesto Balducci, don Lorenzo Milani e Giorgio La Pira. Guardando
indietro mi sento di dire che allora si sottovalutò il mistero
dell’iniquità, che opera senza sosta. Dobbiamo vigilare, riconoscendo il
male laddove si manifesta e combattendolo a viso aperto».
– Veniamo ai giorni nostri, padre Livio. La sua rassegna stampa del
mattino è un pulpito da cui, si dice, lei sposta voti, crea o fa
evaporare il consenso...
«Ho sempre nutrito molto interesse per la politica, anche se le mie
passioni vere sono la spiritualità e la mistica. Leggo con attenzione i
giornali da quand’ero ragazzo (detto per inciso: ho studiato Teologia
alla Gregoriana, a Roma; Filosofia e Scienze politiche alla Cattolica, a
Milano). A Radio Maria solo il direttore può parlare di politica in
senso lato, e nessuno, neppure il sottoscritto, può dare esplicite
indicazioni di voto, segnalando un partito piuttosto che un altro».
Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria e collaboratore di Credere. Foto di Paolo Siccardi/Sync.
– Tira un po’ a destra, padre Livio...
«Sto là dove si colloca la Dottrina sociale della Chiesa. Non vedo la
sinistra molto impegnata nel difendere la vita nascente e quella che
declina o nel tutelare la famiglia fondata sul matrimonio. Che dice: mi
sono distratto?».
– Anche a destra esistono programmi e atteggiamenti poco evangelici. ..
«Posto che bisogna sempre distinguere tra errore ed errante, fermi
contro il primo,indulgenti con il secondo, lasciando a Dio l’onere del
giudizio (la cosa vale per tutti, va da sé) ricordo che per anni fui tra
i pochi a contrastare le venature paganeggianti e le pulsioni
secessioniste della Lega, di cui continuo a non condividere certo odio
contro rom e immigrati. Il capitolo 25 del Vangelo di Matteo,
d’altronde, indica chiaramente i punti su cui saremo valutati un
giorno».
– I politici la stresseranno non poco...
«Sono un direttore libero e inafferrabile. Nessun contatto, dunque nessun condizionamento».
– I rapporti con la Santa Sede?
«Ottimi. Collaboriamo intensamente con Radio Vaticana».
– E quelli con la Conferenza episcopale italiana?
«Molto buoni. Mai un rimprovero».
Alberto Chiara