padre Damiani mentre accoglie nela sua opera bambini esuli
Istituito nel 2004, Il 10 febbraio è "Giorno del ricordo" voluto per “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra”.
Tra i tanti italiani che si prodigarono per offrire accoglienza alle migliaia di profughi che arrivarono in Itala in quei mesi, a conflitto mondiale appena finito, c’è un sacerdote pesarese che spese gran parte della sua vita per donare un rifugio che assicurasse vitto, alloggio e istruzione a tanti ragazzi di quelle terre d’Istria e di Dalmazia, sottraendoli ai pericoli che su di essi incombevano. Si tratta di padre Pietro Damiani (1910-1997), figura gigante, ma ancora poco nota, di prete che s’è dedicato ai piccoli e agli ultimi, considerando ciò la “vera missione” per un sacerdote.
Consacrato sacerdote nel 1938, padre Pietro venne chiamato in servizio come cappellano militare e spedito al fronte in Africa, esercitando la propria missione sacerdotale tra i soldati al fronte e dividendo con loro disagi e pericoli.
Nell’aprile 1945 fu assegnato come cappellano stavolta al Campo Profughi e Reduci di Udine. Un’esperienza molto intensa. I soldati reduci dalla guerra e dai campi di concentramento arrivavano nel campo in colonne, giorno e notte, a centinaia di migliaia. Sono sporchi, macilenti, provati nel fisico e nello spirito, ma la vista più pietosa è quella dei reduci dai campi di concentramento tedeschi, russi e jugoslavi. Non sono uomini che arrivano ma scheletri piagati, inebetiti, affamati.
Quella nel campo profughi di Udine “Fu la più forte esperienza della vita sacerdotale”, scrisse. “Quello che mi metteva in crisi era il passaggio dei bambini con le mamme che si rifugiavano, mentre i papà erano forse prigionieri degli jugoslavi o nelle foibe. “Nella mia mente si accendeva il desiderio – ricorda ancora Damiani – di fare qualcosa di particolare per i bambini orfani, profughi, derelitti. Che colpa avevano essi, se gli uomini erano capaci di tanta crudeltà? Decisi così di fondare una struttura per accogliere i bambini vittime della guerra”.
L’impresa era grandiosa e difficile. Padre Damiani, tuttavia, era uomo intraprendente e coraggioso. Si mise al lavoro innanzitutto individuando un gruppo di collaboratori, che costituirono il comitato che lo aiuterà ad attuare la sua iniziativa. Ne facevano parte il professor Mario Rossi di Gorizia e la crocerossina Adriana Bertini di Roma, che rimasero fino alla fine al suo fianco.
C’era il desiderio di dar attuazione ad un progetto, ma mancavano i locali, che Padre Damiani andò a cercare nella natia Pesaro, e in particolare lungo il mare dove, nel suo ricordo, prima della guerra esistevano diverse strutture che potevano essere utilizzate allo scopo. Alla fine individuò un edificio, un tempo adibito a colonia estiva dei figli degli impiegati Postelegrafonici, che gli sembrava ripristinabile con una spesa minore degli altri. Trovò professionisti e maestranze ai quali affidare l’incarico di progettare la ristrutturazione dell’edificio e di eseguire i lavori. La somma necessaria alla ristrutturazione dell’edificio, quattro milioni di lire, cifra ragguardevole per quei tempi, fu raccolta grazie alla generosità di privati, tra cui molti pesaresi, da vari enti e dal Governo Italiano. Mancavano soltanto i bambini, che arrivarono in treno da Trieste, accompagnati da Rossi, Bestini e da alcuni membri del C.L.N. dell’Istria.
L’inaugurazione ufficiale avvenne il 16 ottobre 1946, alla presenza e con la benedizione del vescovo di Pesaro. Padre Damiani volle intitolare la struttura al suo grande amico Riccardo Zandonai, musicista e direttore d’orchestra. L’avvio dell’accoglienza iniziò con alcune decine di piccoli, esuli e orfani, ma già nel dicembre di quell’anno, benché i posti preparati fossero molto di meno, i bambini erano 218, perché Padre Damiani si era proposto di dar asilo al maggior numero possibile di ospiti e che i sacrifici non avrebbero mai dovuto ostacolare questo proposito.
Il Provveditore agli Studi consentì l’apertura nei locali del collegio prima di sezioni di scuola elementare e in seguito anche di avviamento professionale e scuola sedia. Nel 1950 il numero dei ragazzi permanenti arrivò a 800. Si aggiunse, quindi, anche la scuola di ceramica, di falegnameria e di meccanica. Ulteriori nuovi edifici ingrandirono l’Opera per poter ospitare oltre mille ragazzi.
Nel 1961 venne edificato l’Istituto Professionale per l’Avviamento al Lavoro. L’Opera era ormai un imponente, funzionante complesso, che sorgeva su un’area di circa 10.000 mq, con ampi spazi destinati alle attività culturali, lavorative, sportive, ricreative. Una storia di 36 anni di accoglienza ininterrotta per decine di migliaia di bambini bisognosi di tutto, non solo dalmati e istriani, m anche piccoli del Meridione vittime della guerra e della miseria.
Oggi l’Opera è diventata una struttura per anziani per volere esplicito del sacerdote. Era infatti il 1997 quando si realizzava l’ultimo sogno di un sacerdote visionario, che pensò di donare parte della sua Opera all’arcidiocesi per realizzarvi una casa di riposo “Padre Damiani”.
(Fonte: Carmen Palazzolo Debianchi in sito www.associazionedellecomunitaistriane.it)