Monsignor Pierbattista Pizzaballa (al centro) ad Aquileia nel luglio 2021
Continua l'incognita pellegrinaggi in Terra Santa. Dopo l'anno horribilis 2020 che - causa lockdown -, ha visto gli arrivi quasi azzerati (secondo l'Ufficio centrale di statistica di Israele, nel 2019 ci furono 4,5 milioni di persone), il 2021 sembrava essere foriero di grandi speranze per la ripresa. Per un momento si è creduto di poter ripartire, ma la variante Delta del Sars-CoV2, che ha colpito Israele e dintorni, ha di nuovo messo tutto in forse. Dallo scorso maggio ai primi di luglio sono stati tre i gruppi che si sono recati in Terra Santa, dopo uno stop che durava da marzo 2020.
Ora il futuro è nuovamente incerto, perché il Governo israeliano ha imposto una serie di ulteriori obblighi sanitari, ed esige che in ogni gruppo che viene dall'estero ci sia una guida locale certificata inoltre, i biglietti aerei sono lievitati e la non certezza della vaccinazione degli operatori turistici a Betlemme fa sì che si debba prendere alloggio a Gerusalemme, che è più costosa. Così il viaggio costa almeno 300 euro in più. Senza contare che l'ultima parola sul diritto a partire spetta all'Autorità israeliana. È presumibile che tra coloro intenzionati a partire, molti ci ripenseranno ma, anche se non fosse, “i numeri sono troppo esigui, e non cambiano la situazione sociale ed economica di chi vive di turismo e di accoglienza”, si legge sul numero di luglio/agosto della rivista Terra Santa.
In quest'ultimo anno e mezzo i pellegrinaggi sono andati in sofferenza, soprattutto causa Covid, ma anche per il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese. Dal 6 maggio scorso, quando sono iniziate le proteste e le rivolte dei palestinesi di Gerusalemme contro la decisione della Corte Suprema di Israele in merito allo sgombro di alcuni residenti a Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme Est, che ha visto la reazione pesante delle forze di polizia israeliane, si è assistito ad una nuova esplosione di violenza, che ha interessato per lo più Gaza, ma che, in generale, ha pervaso tutta la società, comprese le comunità che convivono nelle cittadine miste, come Lod, Aco e Ramble. Il 21 maggio, grazie al cessate il fuoco, la situazione è rientrata ma - come ormai ben si sa -, in queste terre il fuoco cova sotto la cenere.
Il 12 luglio, il patriarca dei Latini di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, giunto ad Aquileia, in Friuli Venezia Giulia, per presiedere la Messa nella solennità dei protomartiri santi Ermagora e Fortunato, aveva tenuto a rassicurare i pellegrini, rinnovando l'invito a tornare in Terra Santa. Ospite prestigioso, prima dell'eucaristia, nel sagrato della basilica, il patriarca ha offerto una lectio magistralis per raccontare una terra condannata all'instabilità da decenni, ma capace anche di testimonianza ecumenica ed interreligiosa. Gerusalemme, in quanto città santa per le tre religioni abramitiche, è divisa tra l'essere «Luogo-simbolo dell'anelito alla riconciliazione e all'unità», e fonte di conflitti e divisioni, dovute al continuo intreccio fra «argomenti religiosi e prospettive politiche di israeliani e palestinesi». «Ciascuno vuole esprimere anche politicamente la propria sovranità sulla città, o almeno su una porzione di essa – ha spiegato il patriarca -, specie nella parte dove si trovano i propri Luoghi Santi, testimoni della propria storia di fede, che però è anche storia di popolo e identità nazionale. L'affermazione della propria storia, tuttavia, espressa concretamente nel territorio da una parte, viene anche vista come una negazione per l'altra. Un circolo vizioso dal quale è difficile uscire». Non aiuta il fatto che «in alcuni Luoghi Santi convergono le narrazioni religiose differenti o, addirittura antitetiche, di ebrei, musulmani e, in alcuni casi, anche cristiani». Pensiamo alla Spianata del Tempio, luogo sacro ai fedeli di tutte e tre le religioni monoteiste e, per questo, “condannato” ad un equilibrio fragilissimo. Ma i cristiani hanno un “vantaggio”. «Hanno solamente una rivendicazione religiosa e spirituale sulla città. Non spetta ai credenti in Cristo stabilire chi, come e a quali condizioni debba governare sulla città ma – poiché vi si trovano anche i più importanti Luoghi santi cristiani, testimoni degli eventi principali della vita di Gesù - è certamente nostro diritto e dovere esprimere un giudizio sul carattere che la città deve mantenere. Per la sua storia e l’alto valore simbolico che ricopre nella vita di miliardi di credenti, Gerusalemme deve rimanere patrimonio universale, multiculturale, aperto e solidale perché, sotto la superficie di contenziosi e divisioni, dei vari Statu-quo della città, scorre un fiume di umanità bella, di uomini e donne che si mettono in gioco per dare espressione al desiderio radicato nel loro cuore di amore a Dio. Persone che desiderano incontrare il fratello e la sorella che vive accanto a loro e che rifiutano di credere sia un estraneo o addirittura un nemico», ha concluso mons. Pizzaballa.
(Foto di Romina Gobbo)