In questa pandemia dove ogni giorno contiamo decine di morti quello di Alessandro Mores (nella foto in alto tratta da Facebook), 48 anni, di Vicenza, non è solo l’ennesimo decesso, purtroppo, di un «no Vax convinto», come l’hanno definito i suoi familiari.
L’uomo, padre di tre figli, di 21, 16 e 10 anni, di professione agente di commercio, rifiutava di vaccinarsi e, quando a metà dicembre ha contratto il Covid che gli ha tolto il respiro, ha rifiutato anche di farsi intubare. Era arrivato martedì scorso in condizioni disperate nel reparto di rianimazione dell’ospedale San Bortolo di Vicenza. Non voleva neanche ricoverarsi, l’ha fatto quand’era già troppo tardi. Solo il giorno prima, sul suo profilo Facebook, aveva postato una notizia, anzi una bufala, in cui si leggeva che in Sudafrica hanno abolito tutte le restrizioni perché la variante Omicron «non è pericolosa».
A chiamare il 118 era stato il figlio maggiore. Mores però è sempre rimasto fermo sulle sue convinzioni e avrebbe chiesto di firmare per non essere intubato. «Tanto guarisco lo stesso», avrebbe detto ai medici. La situazione è degenerata in un paio d’ore. La dottoressa che lo stava trattando, che è stata chiara fin da subito sul rischio che stava correndo, ha anche contattato i familiari. Ma nemmeno loro sono riusciti a convincerlo a farsi intubare. Gli appelli disperati, in lacrime, durante una videochiamata dei figli, sono rimasti inascoltati.
È questo il dettaglio che inquieta e fa rabbrividire. Nessun uomo è un’isola, scriveva il poeta John Donne. A maggior ragione se ha figli adolescenti, quindi non ancora adulti, da educare e portare avanti. Ogni relazione con l'altro - a cominciare dai propri figli - implica un'etica del dovere e della responsabilità, a cominciare da quella di fare tutto quanto possibile per non lasciarli soli per il resto della loro vita.
Al netto delle convinzioni, dell’ideologia, dell’ostinazione, della caparbietà, anche della paura – sentimento del tutto umano e comprensibile – può un padre ignorare l’appello disperato di un figlio a salvare se stesso? Non pensa, quel padre, che privare i suoi figli della sua figura, del suo amore, della sua guida valga la pena di correre il rischio – mettendosi nell’ottica di chi ha paura – di fare un vaccino e non negare l’evidenza di una pandemia che può anche essere gestita dai governi dei Paesi del mondo bene o male, a seconda dei punti di vista, ma innegabilmente uccide?
Nell’umano, lo sappiamo, non c’è nulla di scontato. E questo, come tanti altri casi analoghi, è una conferma. Che, però, sconvolge perché ha qualcosa d’innaturale, di enormemente imponderabile, di assurdo. Se neppure l’implorazione del proprio figlio è in grado di vincere la paura del vaccino e l’ideologia di chi afferma che è tutto un complotto, cosa serve di più?
Davvero possiamo illuderci che basti la corretta informazione (c’è già), mettere in fila i numeri (fior di analisti li danno ogni giorno), additare gli esempi di chi è morto perché non ha voluto né curarsi né vaccinarsi (la cronaca è piena)?
L’Occidente ha una grandiosa allegoria della responsabilità: l’eroico Enea che fugge da Troia in fiamme con il padre Anchise caricato sulle spalle e il figlioletto Ascanio tenuto per mano. Quell’uomo, sia pure nel fiore degli anni e del vigore, arranca perché con un braccio deve reggere il padre infermo e con l’altro sorreggere il bimbo. È l’immagine di una società che non scarta gli anziani e prende per mano i bambini.
La pandemia sta capovolgendo anche questo archetipo. Adesso sono i figli – come dimostrano tanti casi di ragazzi che chiedono ai genitori No vax di vaccinarsi per sé stessi e gli altri – che prendono per mano il padre e cercano di incoraggiarlo e salvarlo. O, come in questo caso, cercano di convincere i genitori a farsi prestare tutte le cure possibili per non morire di Covid.
Perché i figli hanno bisogno dei genitori, li amano, vogliono loro bene, non vorrebbero perderli. Anche quando si è colpiti da qualsiasi altra malattia che non dà scampo, i figli cercano sempre di fare tutto il possibile, fino all'estremo, per salvare la propria madre o il padre, in un'alleanza virtuosa, in un reciproco lottare. Ma se chi è malato non vuole curarsi e nega persino la malattia che lo sta uccidendo? Anche l’amore di un figlio a quel punto deve dolorosamente fermarsi in una presa d’atto disumana.
«Queste persone», ha commentato il primario di rianimazione dell’ospedale di Vicenza, Vinicio Danzi, «non credono più al sistema sanitario, alla medicina, ci vedono come nemici e hanno una visione distorta della realtà. Restano a casa fino a quando sono in condizioni disperate e si lasciano morire, ma perderli così no, questo no».
Almeno speriamo che la morte di Alessandro Mores e di tanti altri come lui serva a qualcosa e risparmi ad altri figli la crudeltà di vedere il loro appello a curarsi cadere nel vuoto. Non basta che l’esperienza della pandemia offra degli insegnamenti per accoglierli. Occorre decidersi a dare ascolto alla propria esperienza.