Oggi è venuto al mondo l'otto - miliardesimo abitante della Terra. Un miliardo di persone in più rispetto a 12 anni fa e il doppio rispetto al 1974. Un numero da interpretare con attenzione e lungimiranza. Ci facciamo aiutare da Alessandro Rosina, demografo e curatore scientifico del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo.
Professore come commenta la notizia?
«Come ribadito da Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, tale risultato va prima di tutto letto come esito positivo del grande passaggio dell’umanità dagli elevati rischi di morte del passato ai livelli molto più bassi attuali. Arrivare a sconfiggere la morte prematura per consentire a ciascun nato in questo pianeta di crescere in modo sano ed attraversare tutte le fasi della vita fino all’età anziana, è l’obiettivo posto dal genere umano di cui essere più orgogliosi. Ora però dobbiamo gestirne anche le conseguenze.
Se il continuo aumento della popolazione è avvenuto assieme ad miglioramento generale delle condizioni materiali, rimangono profonde diseguaglianze territoriali e sociali da affrontare. La crescita demografica, inoltre, va resa sostenibile con le risorse limitate del pianeta».
La metà occidentale del mondo però registra un rallentamento nelle nascite…
«È vero, tale crescita è da tempo in rallentamento, come conseguenza della riduzione della natalità. La maggioranza dei paesi del mondo si trova già sotto i due figli per donna, livello che corrisponde al livello di equilibrio generazionale. A contribuire all’incremento della popolazione mondiale è un gruppo di paesi che sta diventando sempre più ristretto. In particolare, l’entità della spinta demografica nei prossimi decenni dipenderà dalle dinamiche dell’Africa sub-sahariana. In funzione del percorso che tale area andrà a compiere, la popolazione mondiale potrebbe stabilizzarsi dopo aver superato i dieci miliardi oppure salire oltre gli undici».
Il demografo Alessandro Rosina
Nel frattempo non possiamo sederci nell’illusione di essere tanti.
«Pur tenendo conto dell’incertezza del caso africano, le tendenze di lungo periodo delineano già la fine della crescita demografica. Gran parte del resto del mondo già oggi, di fatto, non cresce più. Alcune aree, come l’Europa e l’Asia orientale (compresa la Cina), sono, anzi, già entrate in fase di declino demografico. In molti paesi, la fecondità è rimasta così a lungo su livelli molto bassi (molto inferiori al livello di equilibrio generazionale), da rendere fortemente squilibrata la struttura per età: sempre più anziani e sempre meno giovani».
Qual è la conseguenza?
«La conseguenza è il rischio di entrare in una trappola demografica irreversibile, che vincola le nascite su livelli sempre più bassi perché si riduce la popolazione nell’età in cui si forma una famiglia e si hanno figli. Invertire la tendenza della fecondità e farla risalire più vicino alla media dei due figli per donna (in Italia siamo a 1,25) non farebbe aumentare la popolazione, ma risulterebbe indispensabile per evitare che gli squilibri demografici peggiorino ulteriormente compromettendo sviluppo, benessere e sostenibilità sociale».