Alla fine le divergenze, interne al Governo, sulla data di riapertura delle scuole superiori in presenza al 50% si sono ricomposte su una data intermedia tra il simbolico 7 che chiedevano Azzolina, Conte e le ministre di Italia viva e il 15 chiesto dal capodelegazione del Franceschini: si rientra al 50% l’11 gennaio, ammesso che la curva epidemiologica lo permetta e che il territorio in cui la scuola si trova non finisca in zona rossa, perché in quel caso tutta la didattica delle scuole secondarie va automaticamente a distanza. Le scuole d’infanzia, elementari e medie riaprono regolarmente il 7, salvo che le Regioni non decidano con ordinanza in modo diverso. Mentre l'incertezza da un lato mette in difficoltà le scuole e famiglie che devono programmarsi per adeguare la loro organizzazione di orari e ingressi, a regole e decisioni che poi continuano a cambiare in corsa, mentre la didattica a distanza e la distanza dalla scuola preoccupano per il problema sociale che rappresentano.
LE RAGIONI DELLO SCONTRO STATO-REGIONI
Il calendario scolastico, secondo il Titolo V della Costituzione, è di competenza regionale e le Regioni possono modificare (ma soltanto in senso restrittivo) le misure anticovid stabilite dal Governo. A questo proposito le Regioni hanno espresso intenzioni diverse: Marche, Veneto e Friuli Venezia Giulia hanno annunciato ordinanze per spostare la riapertura al 50% al primo febbraio. La Campania al 25 gennaio, le altre si dividono tra quelle che sarebbero pronte a riaprire il 7 e quelle che attendono le decisioni del Governo sulle zone rosse e arancioni.
CHE COSA CAMBIA TRA 7 E 11
È il giorno in cui, a seguito del monitoraggio di venerdì 8, cambiano i colori delle Regioni, stabiliti in base ai parametri e alla curva del contagio: la zona rossa infatti implica la didattica a distanza automatica per le superiori. Spostare tutto all'11 contribuisce ad evitare che eventuali regioni in zona rossa aprano per 3 giorni e poi debbano richiudere, tanto più che si annuncia un cambiamento nei 21 parametri in base ai quali si decidono i colori delle zone: potrebbero essere rivisti in senso restrittivo, perché dal ministero della Salute si sarebbero resi conto che l’indice Rt a 1,25 per determinare la zona arancione e a 1,50 per determinare la zona rossa non sarebbero del tutto efficaci a limitare il contagio.
SCUOLA E CONTAGIO, PARERI CONTRASTANTI
Resta la grande incognita del contagio a scuola: i focolai in classe sarebbero il 2% del totale e la scuola non sarebbe di per sé fonte di troppi contagi, ma preoccupa quello che avviene attorno alla scuola, quando si esce, quando si entra, mentre si arriva (gli studenti delle secondarie vanno al 60% circa a scuola con i mezzi pubblici, tema che preoccupa i sindacati della scuola, e hanno comunque contatti al di fuori delle aule). Il condizionale però è d’obbligo, perché non c’è stata un’indagine sulla siero-prevalenza che possa dire con ragionevole certezza se, quanto e dove,la riapertura delle scuole abbia inciso (direttamente o indirettamente in quanto la scuola muove 10 milioni di persone) sulla risalita dei contagi: se da una parte alcuni esperti ritengono che la scuola in sé sia un contesto ragionevolmente sicuro, dall’altra chi maneggia numeri nota la coincidenza della crescita esponenziale della curva in ottobre con i 14 giorni dal ritorno in classe. Sullo slittamento del rientro il 7 gennaio ha pesato l’incertezza dell’effetto festività: prima di Natale, nei periodi arancioni, hanno destato allarme vari assembramenti che potrebbero ripercuotersi sulla curva dei contagi proprio in questi giorni.
L’INCOGNITA VARIANTE INGLESE
Mentre l’Italia ragiona di riaprire presto le scuole, cercando faticosamente una mediazione tra parti del Governo, tra Regioni e dirigenti scolastici, tra ingressi scaglionati, organizzazione di mezzi pubblici, e zone che cambiano colore, la Germania medita di prolungarne la chiusura e il Regno Unito prende la decisione di bloccare le scuole di ogni ordine e grado fino a metà febbraio su tutto il territorio nazionale: il Paese è infatti travolto dai contagi, forse per colpa della cosiddetta “variante inglese”, la variante del virus già circolante anche in Italia che non sarebbe più aggressiva ma più contagiosa. Roberto Burioni ha spiegato sul sito Medical-fact che questa variante non impatta sull’efficacia dei vaccini, ma rappresenta un’incognita riguardo alla riapertura delle scuole perché pare circolare con maggiore intensità tra giovani e giovanissimi.
E INTANTO LA DIDATTICA A DISTANZA FA CRESCERE LE DISEGUAGLIANZE
La scuola e le sue modalità restano d'altra parte un tema cruciale per l'intero Paese, perché se da un lato la scuola viene indicata come una priorità assoluta, dall’altro quarantene e zone che cambiano colore complicano l’organizzazione di orari per famiglie e istituti. C'è la consapevolezza che la didattica a distanza, se da un lato protegge, dall'altro aumenta in modo significativo le diseguaglianze che già ci sono e rischia di aggravare significativamente anche la dispersione scolastica nelle situazioni di difficoltà e degrado. Uno costo sociale molto grande che deve fare i conti con il virus che non scende a patti e vede decrescere la sua curva meno rispetto alle attese, dopo le ultime restrizioni. E intanto non c'è insegnante o genitore che, a dispetto degli sforzi di tutti, non manifesti preoccupazione per la formazione dei ragazzi, in questo complicato tempo.