Cari amici lettori, mi ha colpito una raccomandazione che papa Francesco ha fatto recentemente alle Superiore maggiori dell’Italia (Usmi) ricevute in udienza lo scorso 13 aprile: di non lasciarsi andare all’amarezza, che è «l’elisir del diavolo».
«Quando si coltiva l’aceto invece dello zucchero, qualcosa non funziona. L’amarezza, l’acidità del cuore, fa tanto male….»: si rimpiangono allora i “bei tempi passati”, si vedono solo le cose che non vanno… «Per favore, niente di questo, soltanto lasciare che sia lo Spirito a darci questa dolcezza che è una dolcezza spirituale».
Il riferimento del Santo Padre, nello specifico, era ai problemi della vita religiosa, ma penso che possa essere uno spunto di riflessione anche per le nostre comunità cristiane, particolarmente in questo tempo pasquale. Non è infatti difficile constatare, talvolta, un senso di amarezza, di ripiegamento, di sconfitta, di tristezza rassegnata quando non di vera depressione.
I motivi sono diversi, legati per lo più a constatazioni come il calo della frequenza a Messa, l’assenza dei giovani, la difficoltà a reperire volontari per le varie attività, la constatazione che il mondo è “secolarizzato”… e la lista potrebbe continuare.
Come vivere da Cristiani senza farsi vincere da difficoltà e depressione.
Come se ne esce? O, almeno, come correggere uno sguardo così incupito e pessimista, che certamente non favorisce nessuna novità e spegne ogni speranza? Nella stessa occasione papa Francesco ha indicato alcuni punti di riferimento essenziali: recuperare la freschezza originale del Vangelo da cui possono spuntare «nuove strade, metodi creativi,… segni più eloquenti»,«cercare il Signore che cosa ci dice oggi; non che cosa ci ha detto ieri», l’incontro con gli altri («conversione sinodale»).
Un’iniziativa recente in Veneto ci aiuta a riflettere sull’ultimo punto: l’incontro su “Le trivellazioni in Adriatico: domande per il presente, responsabilità per il futuro”, organizzato dai vescovi di Chioggia, Adria-Rovigo e Ferrara-Comacchio, che si è svolto lo scorso 13 aprile a Portoviro (Rovigo). Da una parte analisi del problema di esperti, dall’altra l’apporto del pensiero cristiano, con riferimento in particolare alla Laudato si’.
È un importante antidoto alla chiusura in se stessi che ci caratterizza in questo tempo: accorgersi e prendersi cura della realtà circostante che ci interpella, uscendo da se stessi. E come cristiani provare a dare il contributo di bene e di speranza a partire dal Vangelo, portandone il sale e il lievito nella storia. Quello delle trivellazioni è solo un esempio, ma sono tante le realtà e situazioni, anche locali, che possono interpellarci, scuoterci dal torpore, aiutarci a essere “Chiesa in uscita”.
Se continuiamo solo a guardare ai nostri problemi di “cortile”, dimenticando di aprirci alla missione nel mondo, rischiamo l’asfissia. È vero dal punto di vista umano: ritroviamo noi stessi nell’incontro con l’altro; ma è vero anche per la Chiesa: ritrova se stessa se “perde un po’ se stessa” nell’incontro con la realtà. Forse abbiamo davvero bisogno di disserrare tante “porte chiuse” che hanno invece bisogno di aria e di luce.