In Rete ha spopolato. Il filmato che ha immortalato l’episodio raccapricciante accaduto a Bollate è stato tra i più visti nei giorni scorsi. Una sedicenne attacca una sua coetanea con una violenza inaudita, mentre tutti i compagni riprendono la scena con i loro smartphone e aizzano la rabbia dell’aguzzina. Il grido disperato della vittima sembra inascoltato. E timidi appaiono i tentativi di coloro che cercano di porre fine alla tragedia. La madre della baby bulla ha ammesso il proprio fallimento come genitore e ha chiesto perdono. La vittima riceve minacce. Ecco, in poche pennellate, lo sfondo di un quadro opaco e avvilente, mentre mille domande ci attraversano. Tra tutte: come spiegare questo comportamento? Si tratta davvero di un episodio di bullismo al femminile? O si tratta di altro? E che dire del comportamento degli altri ragazzi e ragazze?
«Per capire bene il comportamento della ragazza di Bollate bisognerebbe analizzare meglio molti elementi che non conosciamo», spiega Don Lorenzo Ferraroli, sacerdote salesiano, psicoterapeuta e direttore del Cospes di Arese, in provincia di Milano. «Dalle informazioni a nostra disposizione, tuttavia, mi sembra che possiamo escludere che si tratti di un atto di bullismo. Infatti, un qualsiasi studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero viene prevaricato o vittimizzato quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni. Nel nostro caso l’episodio di violenza non ci viene descritto come parte di altre azioni simili ‘ripetute’ più volte, ma come un momento ben circoscritto e delimitato. Dai dettagli riportati dai giornali, mi sembra che il comportamento della ragazza possa entrare nel capitolo delle prepotenze, del narcisismo di chi vuol mettersi in evidenza ad ogni costo e che le provocazioni del gruppo con tanto di ripresa con i cellulari ha decisamente contribuito ad alimentare».
La ragazza in questione probabilmente fa ancora fatica a reggere le frustrazioni, a gestire situazioni di lutto, a risolvere i conflitti nel rispetto e nella mediazione: «In un’età come l’adolescenza questi compiti non sono facili da risolvere e certo i comportamenti di alcuni adulti non aiutano gli adolescenti di oggi a interiorizzare uno stile di vita in cui la mediazione e il rispetto reciproco sia considerato come parte integrante della maturità umana», precisa don Ferraroli. Lo stesso discorso può valere per i ragazzi e le ragazze «che, invece di esprimere solidarietà verso chi è offeso, se ne stanno a guardare come se quanto accade sia degno solo di essere ripreso e condiviso con l’ambiente digitale di cui sono abili protagonisti».