Pochi giorni fa, il 10 dicembre, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dalle Nazioni unite, ha celebrato 75 anni di vita. E il 10 dicembre, a Oslo, il Comitato del Premio Nobel per la pace ha conferito il riconoscimento a Narges Mohammadi, coraggiosa attivista iraniana per i diritti umani e i diritti delle donne. Alla cerimonia della consegna, tuttavia, la sedia di Mohammadi è rimasta vuota: l’attivista è rinchiusa nel carcere di Evin, a Teheran, è stata condannata a 31 anni di prigione e 154 frustate per le sue attività in favore della libertà e la sua denuncia della repressione attuata dal regime nei confronti delle donne. Le autorità iraniane non le ha permesso di uscire a andare a ricevere il premio. A riceverlo, al suo posto, sono il la figlia e il figlio diciassettenni di lei, Kiana e Ali Rahmani che vivono in esilio in Francia dal 2015, con il padre, e da allora non hanno più rivisto la madre.
La lotta delle donne e degli uomini in Iran per la libertà, il rispetto dei diritti, la democrazia non deve essere dimenticata. Lo scorso 25 novembre, nell’ambito della quindicesima edizione del Festival del cinema dei diritti umani di Napoli, dedicata a “Diritti minori – i bambini alla guerra”, l’Ambasciata della Svizzera in Italia – che ha patrocinato il festival – ha conferito il Premio per la Pace al documentario Stai fermo lì della giornalista Clementina Speranza, che dà a voce ai racconti, ai ricordi, ai pensieri di un giovane persiano, Babak Monazzami, costretto a fuggire dall’Iran, e approdato prima in Italia poi in Germania.
«I diritti umani rappresentano un valore cardine per la Svizzera. Sono parte integrante della nostra tradizione, della nostra storia e della nostra politica estera», ha dichiarato Julie Meylan, prima segretaria dell’Ambasciata della Svizzera in Italia. «Assegnando questo premio, l’Ambasciata di Svizzera intende mettere in evidenza come il rispetto dei diritti umani sia il presupposto necessario per ottenere una pace durevole. La difesa dei diritti umani deve andare al di là dei casi più noti ed eclatanti; ogni destino individuale vale la nostra attenzione», ha affermato Raffaella D’Errico, console onoraria di Svizzera a Napoli.
Il destino di Monazzami, oggi 38 anni, è quello di un ragazzo che, nel 2005, è stato costretto ad abbandonare il suo Paese dopo aver subìto il carcere e le torture, aver sperimentato sulla sua pelle la brutalità della repressione da parte del regime, che soffoca i diritti non solo delle donne – principali bersagli delle vessazioni – ma anche degli uomini, di tutti coloro che non si conformano alle rigide regole imposte dalla Repubblica islamica e tentano di conservare uno spazio di libertà e di critica. In Italia, Monazzami ha lavorato come modello e come artista. Ha preso parte al video musicale del brano di Giusy Ferreri Stai fermo lì: il titolo del documentario fa riferimento proprio alla canzone, perché quella frase riflette la condizione di vita dell’attivista: da una parte la fuga, il tentativo di scappare, dall’altra lo “stare fermo lì”.
«Ho deciso di non comparire nel filmato affinché l’attenzione rimanesse sulle parole, sui racconti del protagonista», spiega Clementina Speranza, che da anni segue la vicenda di Monazzami. «Non è stato facile effettuare le riprese, l’emozione ha interrotto numerose volte il girato. Il ripercorrere i ricordi cruenti e tragici, o sentimentali, sui propri cari, impediva a Babak di proseguire». E aggiunge: «Obiettivo del documentario non è solo quello di risvegliare la coscienza del pubblico, ma anche di ricordare quale sia il prezzo che il silenzio può esigere. È un invito a non chiudere gli occhi verso chi è dovuto scappare dalla propria terra anche se mai l’avrebbe voluto».
In Iran il movimento di protesta contro il regime iniziato a settembre del 2022 – dopo l’uccisione della 22enne Mahsa Amini, arrestata perché non indosaava il velo islamico in modo corretto – non si ferma, va avanti e continua a sfidare coraggiosamente la repressione violenta perpetrata dalle autorità. In Italia prima e in Germania poi, Monazzami non ha mai smesso di denunciare il regime, di manifestare, parlare, cercare con ogni mezzo, a partire dai social, di tenere desta l’attenzione sul movimento di protesta e su ciò che accade nel suo Paese, che lui ama profondamente e dove un giorno spera di poter fare ritorno, quando la situazione politica sarà cambiata e l’Iran sarà, finalmente, una nazione libera.
(Nella foto in alto: Clementina Speranza e Babak Monazzami)