“Le famiglie italiane sono sempre più piccole”, ci informa l’Istat nell’ultima uscita dell’anno, l’Annuario statistico 2019, diffuso poche ore fa: «Le famiglie, 25 milioni e 700 mila, sono sempre più numerose e sempre più piccole. Il numero medio di componenti è passato da 2,7 (media 1997-1998) a 2,3 (media 2017-2018), soprattutto per l'aumento delle famiglie unipersonali che in venti anni sono cresciute di oltre 10 punti: dal 21,5% nel 1997-98 al 33,0% nel 2017-2018, ovvero un terzo del totale delle famiglie», scrivono gli estensori dell’Annuario.
Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da commentare. Come potrebbe essere diversamente, infatti, se in un decennio, 2008-2018, i nuovi nati sono diminuiti di circa 137.000 unità, passando da quasi 577.000 a 440.000; se il numero medio di figli per donna è passato da 1,45 a 1,29 (ma è la miseria di 1,21 per le donne italiane!); se – ci informa sempre l’Annuario – nel 2018 in numero dei morti ha superato i nati di ben 193.386 unità? Senza dimenticare che ormai da un decennio i nati con almeno un genitore straniero sono uno su cinque, il che significa che senza l’apporto degli immigrati presenti da decenni tra noi saremmo già in “bancarotta demografica”, mentre politici senza scrupoli, umanità e consapevolezza dei nostri veri problemi continuano ad usarli come carne da macello mediatico per prevalere sullo schieramento avversario.
Non si tratta di essere più o meno catastrofisti, ma di guardare in faccia la realtà. E domandarsi: una società in cui le famiglie che l’Istat tecnicamente definisce “unipersonali”, e che qualcuno già chiama “famiglie single”, sono ormai un terzo del totale e – se le tendenze che abbiamo delineato non subiranno un deciso cambio di rotta – sembrano destinate a diventare la maggioranza, può ancora stare in piedi? La frammentazione della popolazione che emerge dai dati sarà in grado di reggere il tessuto economico, sociale, civico che finora – bene o male – ha retto il nostro Paese?
Le famiglie, con i loro legami, i loro progetti di vita, la loro funzione riproduttiva, educativa, di trasmissione di valori, infatti non sono un optional. Sono lo snodo fondamentale attorno al quale si generano le identità e i progetti di vita dei singoli, e la capacità di tenuta di tutto il sistema, anche nei suoi risvolti socio-assistenziali. Il loro venir meno, il loro essere ridotte a micro-unità, rende estremamente difficile, se non impossibile, l’esercizio di queste funzioni. Pensiamo semplicemente alla questione anziani: siamo il Paese, insieme al Giappone, con il maggior numero di persone anziane, delle quali si fanno carico in via quasi esclusiva proprio le loro famiglie: ma le generazioni dei figli unici come faranno? Già ora il problema sta esplodendo, nella scarsa attenzione di chi dovrebbe occuparsi di porre in essere politiche sociali calibrate sui bisogni, e non sul tornaconto in termini elettorali.
Non solo: accanto a questi risvolti di carattere materiale, vi sono anche altre perdite rilevanti, dovute alla contrazione dell’ampiezza dei nuclei familiari. Il venir meno della fratria, cioè di quella scuole di socialità che aiuta a stare al mondo, ad imparare a rapportarsi con gli altri, ad uscire dal narcisismo infantile che sembra attanagliare una buona fetta della nostra popolazione anche ben oltre l’adolescenza, significa una sempre maggiore chiusura nell’individualismo autoreferenziale. Così come senza un adeguato ricambio della popolazione giovanile, è la dinamicità, la voglia di rinnovare, la forza con cui affrontare le sfide dell’oggi che vengono meno, e che rendono sempre più esangue, ferma, stagnante un’intera nazione.
Ecco perché quel dato – il 33 per cento di “famiglie single”, o se preferite di “famiglie lillipuziane” – ci deve far riflettere. Certamente è dovuto a fattori diversi e concomitanti – l’allungamento della vita media, in primis, con una quota crescente di persone anziane che vivono sole, ma anche la rottura di precedenti legami coniugali, o la difficoltà ad allacciare quelle relazioni stabili e durature tipiche della maturità da parte di tanti giovani e meno giovani – ma nell’insieme è un (ennesimo!) segnale che viene inviato ai nostri decisori politici, e a tutte le componenti della società: sveglia, ogni anno di ritardo nella promozione di autentiche politiche pro-famiglia che accumuliamo rende sempre più vicino il punto di non ritorno. Come gli scienziati ci stanno avvertendo per la questione climatica, così anche per la questione demografica, passata una certa soglia di denatalità e di conseguente invecchiamento della popolazione, non è più possibile risalire la china, e le modificazioni diventeranno irreversibili. Pensiamoci, nelle poche ore che mancano allo scoccare di questo controverso 2019.