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lunedì 16 settembre 2024
 
 

Vittime e carnefici, il dialogo possibile

31/07/2013  Si è da poco concluso il Progetto Sicomoro di Prison Fellowship Italia nel carcere di Modena: un viaggio tra rabbia, disprezzo e capacità di perdonare

Tutto è iniziato intorno al mese di maggio, nella Casa Circondariale di Modena: il Progetto Sicomoro ha mosso i suoi primi passi in questo nuovo istituto penitenziario con le consuete, inevitabili, paure e diffidenze, forte, però, di un meccanismo consolidato e di un messaggio che va al di là del singolo risultato. A portarlo avanti la sezione italiana dell'organizzazione Prison Fellowship che da 30 anni è attiva nelle carceri con sedi in 116 Paesi del Mondo per promuovere un modello di giustizia riparativa intesa da un lato come riconciliazione tra vittima e colpevole, dall'altro come perdono cristiano

Dietro il reato c'è una persona cui offrire una possibilità di vero riscatto e di reale reinserimento nella comunità: con otto incontri, il Progetto Sicomoro intende perseguire proprio questo obiettivo, mettendo gli uni di fronte agli altri, all'interno dell'istituto penitenziario, detenuti e vittime, così che entrambi abbiano di comprendere ogni piega, ogni risvolto, del danno provocato. Alle spalle, un delicato lavoro di ricerca sulla scelta dei soggetti con cui iniziare questo percorso che passa da momenti faticosi che mettono a dura prova le tenuta emotiva dei singoli. Un miscuglio di emozioni che si sovrappongono, lottano, spingono per venire a galla.

Già applicato nel carcere di Opera a Milano e nella Casa Circondariale di Rieti, il Progetto Sicomoro, dunque, è arrivato anche a Modena. "Filo conduttore" dell'esperienza, i reati contro il patrimonio: per il resto, nove storie di detenuti che hanno poco a che fare l'una con l'altra. Vissuti anche diametralmente opposti, origini, culture, religioni, caratteri profondamente diversi. Eppure, comunque, colpevoli di "ferite" che Fellowship Italia prova a sanare con un approccio complesso nella sua semplicità.

Alla fine sono state cinque le vittime che hanno accettato, con coraggio, di incontrare detenuti incriminati di reati analoghi a quelli subiti: cinque persone che, ciascuna a modo proprio, si sono portate dietro un carico di dolore, rabbia, bisogno di giustizia difficili da biasimare. Ma l'incontro con i "rei" ha cambiato la loro prospettiva portandoli ad ammettere che l'uomo non è e non può essere il suo errore. L'odio ha aperto uno spiraglio alla riconciliazione, il disprezzo ha ceduto il passo alla comprensione. Per chi li ha accompagnati in questo iter «vederli così vicini, abbracciati, con lo stesso sorriso sul viso, vittima e carnefice sembravano essere amici da sempre, incapaci di provare sentimenti negativi».

«Vorrei sottolineare - ha concluso la dottoressa Reni - che questo è un progetto aconfessionale e non un progetto che intende fare proseliti. Abbiamo avuto musulmani, ortodossi, evangelici e cattolici. Il Progetto tende a riumanizzare l'uomo che ha deviato e a sanare le ferite causate da un reato... l'uomo conserva una propria dignità e, ogni volta che ritrova se stesso, atuomaticamente poi va alla ricerca di Dio. Ma non è esclusivamente il Dio dei cattolici».

 
 
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