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Mabel Bocchi, icona del basket femminile azzurro in una foto d'archivio. Aveva 72 anni ed è considerata da molti la più grande cestista italiana di tutti i tempi. ANSA
Il mondo dello sport italiano piange una delle sue figure più luminose e rivoluzionarie. A 72 anni si è spenta Liliana Mabel Bocchi, autentica leggenda della pallacanestro femminile, bandiera del GEAS Sesto San Giovanni, colonna della Nazionale e pioniera capace di aprire nuovi spazi anche fuori dal parquet: nello spettacolo, nel giornalismo sportivo, nella televisione, nella battaglia per i diritti delle atlete. Con lei se ne va non soltanto una grandissima campionessa, ma una donna che ha saputo anticipare i tempi e rompere schemi che sembravano intoccabili.
La notizia della sua morte – avvenuta in seguito a una malattia, probabilmente un tumore, che l’ha colpita negli ultimi mesi e l’ha portata via nella sua casa in Calabria – ha colpito profondamente l’intero movimento cestistico. Dalle società alla Federazione, dalle ex compagne alle giovani atlete cresciute nel mito delle sue imprese, il ricordo si è subito tramutato in un lungo coro di gratitudine e commozione.
La bandiera del GEAS
Raccontare Mabel Bocchi significa, prima di tutto, raccontare una storia straordinaria di sport. Arrivata giovanissima al GEAS di Sesto San Giovanni, divenne presto il cuore pulsante di una squadra destinata a segnare un’epoca. Con quella maglia – che non avrebbe mai realmente smesso di sentire sua – conquistò otto Scudetti, una Coppa Italia e soprattutto la memorabile Coppa dei Campioni 1977-78, massimo trofeo europeo femminile, che consacrò il club lombardo tra le grandi potenze del basket continentale.


Mabel non era solo una giocatrice talentuosa: era una leader naturale. Grinta, visione di gioco, capacità di prendersi responsabilità nei momenti decisivi e, soprattutto, una forza carismatica che trascinava chi le giocava accanto. Nelle cronache dell’epoca viene descritta come instancabile, generosa in difesa, precisa al tiro, dotata di un’intelligenza tattica rara. Era la capitana ideale, quella che sapeva parlare alle compagne negli spogliatoi e dare l’esempio in campo.
La maglia azzurra
Accanto al mito del GEAS, c’è quello della Nazionale italiana. Bocchi vestì l’azzurro per oltre un decennio, partecipando a numerose competizioni internazionali. Il momento più alto arrivò agli Europei del 1974, quando l’Italia conquistò uno storico bronzo: una medaglia che segnò una svolta per la pallacanestro femminile del nostro Paese, fino ad allora rimasta ai margini della ribalta sportiva.
Quel podio non rappresentò solo un successo agonistico, ma una conquista collettiva: dimostrò che le atlete italiane potevano competere alla pari con le grandi scuole europee e che il movimento meritava maggiore attenzione e rispetto. Mabel fu una delle protagoniste assolute di quella spedizione e divenne così un volto simbolo del basket femminile italiano.
Dallo sport alla televisione
La popolarità di Bocchi uscì presto dai confini dei palazzetti. Il suo sorriso, unito a un carattere schietto e comunicativo, la rese ideale per i media. Negli anni Settanta partecipò anche a esperienze cinematografiche accanto a Renato Pozzetto e Adriano Celentano, entrando a pieno titolo nel mondo dello spettacolo. Ma il passaggio più rivoluzionario arrivò con la televisione sportiva.
Mabel diventò infatti la prima ex atleta donna a comparire come giornalista e commentatrice tecnica alla “Domenica Sportiva”, il tempio dell’informazione sportiva italiana. Non una presenza simbolica, non una semplice “ospite di colore”, ma una voce competente, autorevole, capace di parlare di sport con la conoscenza di chi l’aveva praticato ai massimi livelli.
A ricordare la portata storica di quella scelta è lo studioso di radio e tv Giorgio Simonelli, che colloca l’arrivo di Bocchi dentro una svolta più ampia del programma:
«Non è la prima donna che va alla Domenica Sportiva, c’erano state delle presenze, come Rosanna Vaudetti, però è la prima donna sportiva che va alla Domenica Sportiva come giornalista. Le altre erano comunque donne di televisione: lei invece non è una donna di televisione, è una sportiva. Questo corrisponde a una svolta della Domenica Sportiva sul finire degli anni Settanta, quando si afferma l’idea di un bisogno di conoscenze tecniche dello sport».
Una svolta epocale, appunto: non più figure chiamate solo a presenziare, ma professioniste capaci di portare valore aggiunto al racconto sportivo. Simonelli aggiunge: «La presenza di Mabel Bocchi rafforza questa direzione: non soltanto come personaggio – lei fa anche dei film all’epoca, quindi si uniscono spettacolo e popolarità – ma perché può parlare con conoscenza tecnica del fenomeno. È una sportiva che diventa giornalista. C’è un insieme virtuoso di componenti: è una donna, è una donna di spettacolo, ma soprattutto è una donna che conosce lo sport di cui parla».
Una pioniera dei diritti delle atlete
La forza di Mabel Bocchi non si è mai esaurita nell’immagine pubblica. Dietro al sorriso televisivo c’era una donna consapevole delle profonde ingiustizie subite dalle sportive: scarsa considerazione, compensi minimi, nessuna tutela reale, mancanza di riconoscimento professionale.
Per questo, nel corso degli anni, Bocchi divenne una vera paladina dei diritti delle atlete. Partecipò a dibattiti pubblici, prese posizione su temi come il professionismo femminile, le condizioni contrattuali, la dignità del lavoro sportivo. Denunciò più volte quanto fosse difficile costruirsi una carriera sostenibile nello sport femminile italiano, e quanto spesso alle donne venissero chiesti sacrifici enormi senza adeguate tutele.
Il suo impegno, oggi, appare ancora più prezioso: molte delle conquiste ottenute di recente – dal riconoscimento giuridico di atlete professioniste alla maggiore attenzione mediatica – affondano le radici proprio nelle battaglie di figure come lei.


Una popolarità “prima” dei social
Mabel Bocchi fu una celebrità in un’epoca che non conosceva Instagram né Twitter. Era famosa per davvero: il pubblico sportivo e della tv la riconosceva per strada, le bambine volevano il suo autografo, i giornali sportivi le dedicavano titoli e interviste. Eppure seppe sempre sottrarsi alla tentazione della diva.
Chi l’ha conosciuta parla di una donna semplice, ironica, amatissima nello spogliatoio e capace di mantenere uno sguardo limpido sulle cose importanti della vita. Non rinnegò mai il suo passato da atleta: anche quando la tv le offrì nuove opportunità, restò profondamente legata allo sport di base e al basket come strumento educativo.
L’eredità di Liliana Mabel Bocchi non si misura soltanto nei trofei vinti – numerosissimi – o nei programmi televisivi che l’hanno vista protagonista. Il suo vero lascito è aver dimostrato che una donna poteva essere tutto insieme: atleta d’élite, personaggio pubblico e giornalista competente, senza dover sacrificare nessuna di queste dimensioni.
In un’Italia che spesso relegava le sportive a ruoli secondari o folcloristici, lei seppe prendersi lo spazio che meritava, diventando modello per generazioni successive. Oggi molte giovani commentatrici sportive possono entrare in uno studio televisivo senza sentirsi ospiti occasionali anche grazie al solco che Mabel ha tracciato.
E sul campo, ogni ragazza che indossa una canotta da basket con la convinzione di poter sognare in grande deve qualcosa a lei, a quella ragazza che partì da Sesto San Giovanni per conquistare l’Europa e poi insegnare all’Italia a guardare lo sport femminile con occhi nuovi.
Il saluto
La morte di Mabel Bocchi lascia un vuoto profondo, ma anche una responsabilità: custodire la sua memoria e continuare il cammino che ha aperto. Onorarla significa non smettere di chiedere pari dignità, pari attenzione, pari diritti per tutte le atlete. Significa ricordare che il talento non ha genere e che lo sport – quando è raccontato con competenza e passione – può diventare uno straordinario strumento di emancipazione.
Alla fine resta l’immagine più vera di Mabel: una donna con la palla tra le mani, lo sguardo alto e il sorriso di chi sa di stare facendo qualcosa che durerà nel tempo. E infatti dura ancora oggi. Nella storia del basket italiano, nella televisione sportiva che è cambiata anche grazie a lei, e nel cuore di chi ha imparato a credere che i sogni, se sostenuti da coraggio e tenacia, possono davvero diventare realtà.




