Il male si chiama insicurezza sul lavoro, il tema ritorna ogni volta che si piangono morti. Si contano tre morti e un grave ferito a Milano, ma è solo l'ultimo caso grave.

Si è ricordata da poco la strage della ThyssenKrupp a Torino, ma il lavoro non ha smesso di essere un rischio. I dati diffusi da Cgil, Cisl e Uil parlano di 117 morti sul lavoro In Lombardia, da gennaio a novembre 2017.

Raffaele Guariniello, ex magistrato, si è occupato per una vita di processi in materia di sicurezza sul lavoro, compreso quello della ThyssenKrupp, e oggi mette a disposizione dello Stato le sue conoscenze, quando gliele chiedono. Ma è un po’ è stanco della retorica che si fa ogni volta, dopo. Vorrebbe concretezza prima: «Il rimedio sarebbe semplice: controlli, ispezioni, in misura adeguata per numeri e competenze, prima. In modo da prevenire. Formazione: quante nelle volte nelle imprese si fa formazione sulla sicurezza di facciata soltanto per adempiere a un dovere burocratico formale, senza essere sicuri che poi si applichi ciò che si dovrebbe? Abbiamo in materia una legislazione avanzata, ma non basta se poi non la si traduce in azioni quotidiane. Servono risorse, persone e mezzi, anche per controllare che la legge non sia solo sulla carta, diversamente ripeteremo le stesse cose, a ogni tragedia all’infinito. Poi, quando si mette mano alle leggi, non sempre escono chiare come si dovrebbe: oggi c’è molta attenzione al cosiddetto lavoro agile, una legge recente del 2017, che in materia di sicurezza è molto oscura».

Nemmeno i processi a incidenti avvenuti hanno vita facile, molte volte si prescrivono. Che servirebbe per migliorare la situazione?

«Servirebbero magistrati di procura specializzati: diversamente ogni processo in materia è sempre il primo e si riparte ogni volta da zero in termini di conoscenza del fenomeno e di rapporti con ispettori consulenti. L’assenza di esperienza specifica rende impervi i processi perché sono complessi e spesso richiedono consulenze tecniche. Da anni dico che sarebbe necessario creare una Procura nazionale in tema di sicurezza sul lavoro, malattie professionali e reati ambientali».

La specializzazione spesso è inconciliabile con la competenza territoriale: nelle procure troppo piccole è impossibile creare sezioni specializzate e in quelle grandi la legge impone rotazione. Che fare?

«Per questo dico che serve una Procura nazionale che coordini. Se ti occupi di Fincantieri non puoi occuparti solo di Fincantieri di Trieste mentre un’altra Procura si occupa di Fincantieri Palermo, conoscendo ciascuna solo un pezzettino della storia, senza un quadro d’insieme, perché si rischia di arrivare a decisioni contrastanti: non ci può essere una giustizia che sullo stesso caso si differenzia a seconda del luogo. Lo stato di diritto rischia di andare in sofferenza, su problemi così complessi serve almeno una regia unitaria, un coordinamento centralizzato».

Sta pensando a un modello simile a quello della procura nazionale antimafia e antiterrorismo?

«Sì o almeno riterrei utile creare un’agenzia nazionale con competenze di Polizia giudiziaria a livello nazionale, sul modello del Pôle de la santé francese, in modo da dare uniformità ai risultati delle indagini. Diversamente si rischia di disperdere conoscenze e di rallentare il lavoro, finendo a far prescrivere i processi. L'ideale sarebbe combinare l’indipendenza del procuratore italiano con l’accentramento delle indagini francese».

In altri Paesi su questi temi ci si indirizza verso la strada dei risarcimenti passando direttamente al processo civile anziché imbarcarsi nell’esito incerto del processo penale. La strada del processo penale pecca di efficacia in questi casi?

«Io credo molto nella giustizia penale: è l’unica che consenta di perquisire, sequestrare, fare intercettazioni. Vuol dire poter fare accertamenti molti più profondi per arrivare alla verità. Detto questo non si può attribuirle una funzione taumaturgica, pensare che sia quella la sola strada per risolvere i problemi».

Alle vittime di gravi incidenti sul lavoro può capitare che venga offerto un risarcimento o un compenso assicurativo in cambio della rinuncia a costituirsi parte civile nel processo penale . C’è chi lo accetta e chi vi legge quasi un’offesa, lei come la vede?

«È una decisione soggettiva, ma come ex pubblico ministero non ho mai pensato che costituirsi parte civile fosse essenziale all’esito del processo, non è negativa in sé l’assenza di una parte civile al processo, né ho mai considerato negativa per il processo l’accettazione di un risarcimento. Il processo va per la sua strada comunque: no0n è che evitando di costituirsi parte civile si rinunci a punire eventuali responsabilità. Alle famiglie che mi abbiano chiesto un consiglio, invece, sapendo quanto difficile sia prevedere in casi complessi la durata del processo penale, io ho sempre suggerito di accettare i risarcimenti. Non dimentichiamo, molto concretamente, che un incidente sul lavoro il più delle volte sottrae alla famiglia una fonte di sostentamento».

Parlava di complessità, a causa di molte consulenze scientifiche e tecniche. La giustizia chiede certezze, la scienza ragiona in termini di probabilità, quanto è importante e difficile per il magistrato scegliere bene una consulenza?

«In tempi di conoscenze scientifiche e tecnico-tecnologiche che progrediscono velocemente è una delle cose più difficili per il magistrato e spesso è decisiva perché può determinare l’esito del processo, per questo dico che occorre specializzazione. Vedendo consulenti di accusa e difesa arrivare a conclusioni diametralente opposte, mi è capitato di dire: perché non si arriva a un codice etico dello scienziato? Mi rendo conto che è un’utopia. Ma guai a scoraggiarsi».