Caro don Antonio, ho seguito con apprensione e, da subito, questo esodo epocale e il prezzo di vite umane che esso comporta. Ma per salvaguardare il mio equilibrio psichico, mi sono riutata di guardare le immagini che la Tv ha trasmesso del piccolo Aylan, pensando che potesse destabilizzare la mia fede. Le sofferenze che patiscono i bambini, di qualsiasi genere, mi sono intollerabili, incrinano la mia fiducia negli uomini. Quando ho ricevuto l’ultimo numero di Famiglia Cristiana, ho visto quello che non avrei voluto vedere: il piccolo corpicino di Aylan riconsegnato dal mare e riverso sulla spiaggia. Sono scoppiata in un pianto liberatorio, così ho sfogato il mio immenso dolore. Poi, ho baciato quella foto, chiedendo perdono ad Aylan a nome del mondo intero! Perdono e attimi infiniti di silenzio. Quando il mio sguardo è caduto su una frase del suo editoriale: «Non basta commuoversi, bisogna muoversi», mi è sembrato che la comunità abbia compreso, assieme a tutta la gente di buona volontà che si sta impegnando su questo fronte. Infine, il Papa ci ha ricordato che ognuno di noi è «il custode del proprio fratello», chiedendo alle parrocchie, e non solo, di aprirsi all’ospitalità. Da parte mia, ho esortato il mio parroco ad avere più coraggio in un momento così drammatico. Sono tanti i bimbi che su quei barconi hanno fatto il loro ultimo viaggio!
SARA - Ancona
Quella foto di Aylan riverso sulla spiaggia di Bodrum, dopo il fallito tentativo di raggiungere l’isola greca di Kos, ha davvero scosso tante coscienze. Ne è prova anche il tuo pianto liberatorio, cara Sara, accompagnato da una richiesta di perdono. Qualcuno ha criticato la scelta di mettere quel bimbo in copertina, ma non avremmo potuto fare diversamente. Girando lo sguardo altrove, come spesso avviene in tante tragedie, ci saremmo sentiti anche noi colpevoli. Avremmo fatto parte di quella “globalizzazione dell’indifferenza”, più volte denunciata da papa Francesco. “Aylan è nostro figlio”, abbiamo scritto in modo provocatorio, a sottolineare che il suo dramma ci coinvolge e ci sprona a fare qualcosa.
SARA - Ancona
Quella foto di Aylan riverso sulla spiaggia di Bodrum, dopo il fallito tentativo di raggiungere l’isola greca di Kos, ha davvero scosso tante coscienze. Ne è prova anche il tuo pianto liberatorio, cara Sara, accompagnato da una richiesta di perdono. Qualcuno ha criticato la scelta di mettere quel bimbo in copertina, ma non avremmo potuto fare diversamente. Girando lo sguardo altrove, come spesso avviene in tante tragedie, ci saremmo sentiti anche noi colpevoli. Avremmo fatto parte di quella “globalizzazione dell’indifferenza”, più volte denunciata da papa Francesco. “Aylan è nostro figlio”, abbiamo scritto in modo provocatorio, a sottolineare che il suo dramma ci coinvolge e ci sprona a fare qualcosa.


