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Presidio e corteo del personale sanitario dell’Ospedale San Raffaele, Milano 31 Ottobre 2025
Romina Iannuzzi è la responsabile sanità privata del sindacato di categoria Nursind, le abbiamo chiesto di aiutarci ha ricostruire il contesto che ha reso possibile il caos del reparto del San Raffaele.
«Da tempo è in corso un esodo di infermieri che lasciano il privato convenzionato per il pubblico, perché chi vince un concorso pubblico, e ce ne sono stati molti, spesso accetta quel posto perché il contratto pubblico offre maggiori tutele, dal punto di vista normativo, contrattuale e anche retributivo. A questa tendenza generale che si verifica ogni anno, nel reparto sotto i riflettori s’è aggiunto un fatto importante: negli ultimi due mesi da quel reparto si sono dimessi tutti: il coordinatore e 16 infermieri, questa difficoltà ha prodotto l’esternalizzazione, ossia il reclutamento da una cooperativa in emergenza, che ha fornito personale».
Come si spiegano queste dimissioni in massa?
«In questo caso non hanno scelto il pubblico, ma si sono dimessi a parità di retribuzione per altre strutture private: evidentemente erano esausti per le condizioni di lavoro, parlo di doppi turni, mancati riposi. Una condizione quotidiana all’interno del reparto in questione».
Problema di reclutamento nella cooperativa, del personale inadeguato, di come è stato inserito: che idea s’è fatta?
«Si sono trovati catapultati in reparto senza alcun riferimento. Non avevano un infermiere senior, non avevano un coordinatore. è stato difficile per loro, senza affiancamento, capire la stessa collocazione di farmaci. Perché se io vado a lavorare in un reparto e non ho riferimenti, chi mi spiega dove stanno i farmaci, chi mi spiega come si fa una procedura, chi mi spiega protocolli in vigore? Direi che l’idea di affidarsi di affidarsi a una cooperativa per reperire è stata una scelta obbligata, l’ultima spiaggia nelle condizioni date. L’intera vicenda è stata gestita male, è stato fallimentare il fatto di non aver affiancato ai nuovi arrivati personale dipendente con più esperienza. Un problema nato secondo me da una cattiva gestione delle risorse, per cui i medici sono trovati infermieri in oggettiva difficoltà, senza la padronanza del reparto, della collocazione, e in alcuni casi anche con problemi di conoscenza della lingua, visto che c’erano anche professionisti appartenenti ai paesi extracomunitari».
Come vengono reclutati gli infermieri formati all’estero?
«Esercitano in Italia perché il loro titolo è riconosciuto dal Ministero della Salute. Si iscrivono all'Ordine degli Infermieri per poter esercitare in Italia con titoli equivalenti a previsti in Italia dal Ministero della Salute, ma la lingua è necessaria».
Sotto accusa è la legge, prorogata al 2027, che dà la possibilità di reclutare in deroga ereditata dall’emergenza Covid. Si può attraverso quella venire presi senza controlli specifici?
«Abbiamo il sistema sanitario nella necessità di immettere subito risorse e non possiamo verificare a 360 gradi. Non abbiamo più il tempo. Una volta si riusciva a fare una selezione, adesso la necessità è maggiore e quindi può accadere che in emergenza si facciano le assunzioni nel privato con colloqui dove si chiede il minimo indispensabile per l'ingresso al lavoro».
Perché si ricorre alle cooperative invece di assumere personale direttamente?
«Lo si fa perché bisogna risparmiare i suoi costi, perché quel lavoratore in questo modo non è pagato dalla struttura con il contratto previsto per il privato sanitario, ma con il contratto della cooperativa: c'è una differenza sulla paga base di circa 500 euro, quindi è un risparmio. Anziché assumere 16 infermieri con il contratto in vigore nella struttura privata, si esternalizza, si affida questo servizio alla cooperativa che pagherà quegli infermieri secondo il contratto delle cooperative, a condizioni di lavoro e retribuzioni peggiori».
Come se ne esce?
«Purtroppo dobbiamo preservare gli infermieri in generale perché sono in estinzione, possiamo farlo solo rendendo questo lavoro più attraente dal punto di vista economico, se non aumentano i salari e se non si stanziano maggiori risorse, troveremo sempre meno giovani disposti ad avvicinarsi a questa professione, perché nessuno con gli attuali salari sarà disponibile a caricarsi di numerose responsabilità e a rischiare quotidianamente aggressioni. Nel caso specifico degli infermieri di questa cooperativa, poi, parliamo addirittura di stipendi che non vanno oltre 1.500 euro. L’appello che rivolgo a chi deve chiudere la manovra di bilancio, dunque è di pensare alla nostra categoria, stanziando più risorse».
C'è una differenza tra privato puro e privato convenzionato dal punto di vista delle condizioni?
«Il privato puro sceglie il suo personale e chiaramente ha interesse a retribuirlo meglio, in questo senso può essere più attrattivo del privato convenzionato per i professionisti, ma naturalmente non per le tasche dei cittadini. C’è da dire però che purtroppo oggi il privato è diventato l’unica alternativa al pubblico che non riesce più ad assorbire la domanda di salute».
Come funziona il sistema di accreditamento?
«La Regione compra delle prestazioni, fornisce un budget. Fuori da quel budget comunque il privato convenzionato può operare in out of pocket, cioè come privato puro. Prima però deve esaurire il budget assegnato dalla Regione per il quale verranno pagate le rette. In sintesi, il privato convenzionato sopravvive grazie alle rette pagate dalla Regione, ed è con questo che poi vengono pagati gli stipendi, mentre il fatturato viene diviso tra i soci».
Può spiegare come funziona?
«La Regione decide, per esempio, di affidare una struttura per esempio 200 interventi di cardiochirurgia in un anno e per queste prestazioni fornisce un budget, quando la struttura avrà fatto quei 200 interventi riceverà il pagamento da parte della Regione. Per il resto potrà eseguire prestazioni di privato puro pagate dagli utenti».






