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Donald Trump e Volodymyr Zelensky al summit in Florida.
Sorrisi, manifestazioni di soddisfazione, proclami ottimistici e ringraziamenti a tutti i rappresentanti della diplomazia che hanno lavorato alle trattative. L’incontro a Mar-a-Lago, in Florida, fra Donald Trump e Volodymyr Zelensky è stato presentato come straordinario dai due presidenti. «Abbiamo fatto molti progressi», ha dichiarato Trump in conferenza stampa, che ha dimostrato una vicinanza inedita (almeno rispetto agli ultimi mesi) nei confronti del capo di Stato ucraino. Tuttavia, sulla carta, il vertice non segna dei concreti avanzamenti. La base delle trattative resta il piano in 20 punti formulato da Washington, Kyiv e Paesi europei, presentato da Zelensky lo scorso 23 dicembre, che ha modificato – e ridotto - il precedente piano in 28 punti presentato da Washington.
Ma, come il presidente Usa ha ammesso, restano dei nodi spinosi da sciogliere. Il 90 per cento delle questioni in campo sono state risolte, hanno detto i due leader. Resta un 10 per cento sul quale bisogna ancora lavorare. Un 10 per cento che, tuttavia, rappresenta da solo la parte più consistente di tutta la trattativa e il fulcro del conflitto fra Mosca e Kyiv. In discussione ci sono i territori occupati dai russi (e anche quelli non occupati e ancora sotto il controllo dell’Ucraina): il Donbas, la regione orientale che la Russia continua a rivendicare come sua e che Kyiv non vuole cedere. E poi la questione del controllo e della gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia, la centrale nucleare più grande dl’Europa.
Il summit ha puntato molto sulla questione delle garanzie di sicurezza da fornire a Kyiv: Trump dal canto suo ha dichiarato che queste saranno solide, coinvolgeranno l’Europa e avranno una durata di 15 anni, anche se Zelensky ha chiesto le che garanzie siano molto più estese nel tempo, 30, 40 o 50 anni.
A proposito dei territori, Zelenky ha ribadito: «È una questione difficile. Abbiamo posizioni diverse con la Russia. Non direi che su questo punto c'è accordo ma ci stiamo avvicinando». Il presidente ucraino ha dichiarato che la legge marziale sarà revocata solo quando Kyiv avrà ricevuto la garanzie di sicurezza necessarie. E ha menzionato la possibilità che il piano di pace sia sottoposto al voto dei cittadini con un referendum.
Mentre Zelensky incontrava Trump in Florida, la Russia faceva sentire la sua voce e ribadiva la sua potenza militare bombardando in modo massiccio la capitale Kyiv: un milione di cittadini sono rimasti al buio.
Trump ha affermato che la pace è più vicina. Ma fra le dichiarazioni e i fatti al momento c’è un ancora un divario profondo. Nelle prossime settimane i colloqui diplomatici continueranno. Prima dell’incontro con Zelensky, il presidente Usa ha avuto una lunga telefonata con Putin. Il leader del Cremlino dal canto suo ha rifiutato la richiesta di una tregua per il Natale ortodosso, trovando in questa decisione l’appoggio di Trump, che considera inutile e dannoso un cessate il fuoco temporaneo. Mosca ha reagito al summit di Mar-a-Lago riaffermando la sua richiesta, che resta inamovibile: la Russia vuole riprendersi tutto il Donbas e non è disposta a cedere su questo punto. Attraverso il portavoce Peskov, il Cremlino ha ribadito la richiesta a Kyvi di ritirare tutte le forze ucraine dal Donbas non occupato dai russi. E ha dichiarato: «La Russia sta pensando di porre fine al conflitto militare nel contesto del raggiungimento dei suoi obiettivi».
Certamente, l’obiettivo di Mosca è isolare e mettere da parte l’Europa – accusata dal Cremlino di voler affossare l’accordo per la fine della guerra -, spostare nuovamente il piano di pace a favore delle richieste russe – come era l’originario piano in 28 punti - continuando a esercitare una pesante pressione militare sull’Ucraina e sulla sua popolazione.
Il percorso verso la fine della guerra, insomma, procede a piccoli passi, fra spiragli di speranza e battute di arresto, con fatica ed enormi difficoltà, problemi aperti e posizioni inconciliabili fra Mosca e Kyiv.






