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Ma perché riempire di psicofarmaci i ragazzini? C’è un rapporto sull’uso dei medicinali in Italia realizzato dall’Agenzia Italiana del farmaco che dovrebbe suscitare sgomento.
Nel 2016 ne venivano somministrati lo 0,26% ai minori, otto anni dopo siamo a una cifra doppia. Per carità, in altri Paesi europei sono messi peggio, l’Italia è ancora fortunata. Ma di che farmaci parliamo? Antipsicotici, antidepressivi e per l’Adhd, il nome generico di vari disturbi dell’attenzione e dell’iperattività.
È vero che l’aumento di farmaci segue la crescita di patologie in seguito al periodo drammatico della pandemia, che ha costretto i più giovani a chiudersi in casa, a perdere relazioni, svago, confronto, libertà. È vero che oggi gli screening, anche grazie all’attenzione maggiore nei percorsi scolastici, permettono di rilevare situazioni che necessitano di un cammino terapeutico integrato. E i farmaci non vanno demonizzati, se il rischio di una sottovalutazione a lungo termine è la salute mentale.
Ma un percorso terapeutico completo richiede specialisti, non basta il medico di base. E le prescrizioni degli specialisti seguono diagnosi accurate, con esami particolari, non basta l’insegnante che ritiene il ragazzo incontenibile e distratto.
Non basta il pediatra che suggerisce pastiglie per calmare quello troppo agitato o peggio firma certificati di patologie importanti, che possono segnare in modo indelebile la vita di un minore.
Fioccano i famosi Dsa, disturbi specifici di apprendimento: parliamo di dislessia, disgrafia, discalculia… Sono passati dallo 0,9% al 5,4% in 10 anni. È giusto riconoscere i disturbi specifici per permettere a tutti il diritto fondamentale allo studio.
Sorge il dubbio che ci siano a prescindere sguardi troppo apprensivi e sospettosi, che rischiano di escludere anziché includere i ragazzi con qualche difficoltà, abbassando il livello dell’offerta formativa e creando disparità tra coetanei che possono causare sofferenza.
Se le rilevazioni dei disturbi psicologici, dicono gli esperti, riguardano al massimo il 3% dei bambini, i dati scolastici indicano un aumento di rilevazioni quattro o cinque volte superiore.
Certamente l’uso eccessivo della tecnologia può distrarre o diminuire la capacità di attenzione e quindi di apprendimento. Certamente non puntare sulla lettura e sulla scrittura impoverisce il linguaggio e la mente. Certamente i ragazzini hanno il diritto a vivere all’aperto, in compagnia, hanno diritto al gioco, a guide che li sostengano in famiglia, a scuola e fuori dalla scuola.
Sono le famose agenzie educative, che latitano, con adulti assenti o troppo fragili. Tanta solitudine, figlia di tanto individualismo; tante pretese e rincorse di traguardi ottimali che non tengono conto dell’unicità e irripetibilità della persona. E anche qualche farmaco di troppo, per placare le ansie di genitori e maestri, le difficoltà di chi non ha la voglia o la capacità o il tempo per seguire i più giovani con pazienza, autorevolezza e amore per la loro identità.
(Foto in alto: iStock)
In collaborazione con Credere
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