“Adesso appena ci mettiamo in moto, comincerà a raccontare barzellette. Preparati”. Tonio Dell’Olio mi sussurrò queste parole all’orecchio a bordo dell’auto per prendemmo a noleggio un giorno della metà degli anni Novanta all’aeroporto di Tirana. Tonio si riferiva a monsignor Luigi Bettazzi, allora ancora vescovo di Ivrea. Insieme a noi c’era monsignor Raffaele Nogaro, allora arcivescovo di Caserta, un altro pastore mite e gentile, anche se più riservato e meno espansivo di Bettazzi.

Eravamo diretti in Kosovo, per una missione esplorativa di pace. In Bosnia c’era già stato un sanguinoso macello, erano forti i timori  che il prossimo fronte di guerra si sarebbe aperto in Kosovo. Fu un viaggio avventuroso e con qualche rischio. Arrivammo in aereo a Tirana e da lì ci muovemmo in auto fino a Pristina, passando da Macedonia e Serbia. Era inverno, faceva freddo e le strade albanesi erano ancora in condizioni pietose, eredità della spietata dittatura di Enver Hoxa. Arrivammo nel tardo pomeriggio e viaggiammo al buio, con qualche ansia. Tonio era stato buon profeta. Bettazzi pensò subito di alleggerire la tensione per quel viaggio in zone impervie raccontando barzellette. Fu una scoperta. Il vescovo di Ivrea aveva una voce calda, da attore. Raccontava barzellette davvero divertenti (non quelle stupide con le quali a volte i preti pensano di fare gli spiritosi) e sapeva anche creare l’attesa, come un attore consumato. “Ah poi ci sarebbe anche quella che ho raccontato al papa, ma non l’ha capita….”, esclamava malizioso. Fingeva indugio, ma poi la raccontava.

Questo era il lato leggero di un un vescovo che in quel viaggio mostrò la sua passione per il dialogo e la pace. Bettazzi e Nogaro sopportarono con pazienza i controlli alla frontiera serba, accompagnati dagli sberleffi di qualche militare. L’incontro con le autorità religiose ortodosse fu molto freddo (“hanno preso la busta con la nostra offerta in denaro, ma ci hanno a mala pena ringraziato”, constatarono i due vescovi), eppure in quel viaggio non persero mai il sorriso. Ci furono incontri con le autorità locali (il presidente kosovaro Ibrahim Rugova), il clero locale, le parrocchie. Faceva molto freddo e alle 10 del mattino ci offrivano già bicchierini di raki, il tradizionale distillato di prugne del Kosovo. Bettazzi, già settantenne, non sembrava mai stanco. Anche il quel viaggio, come ricorda oggi Tonio Dell’Olio (presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi e già coordinatore nazionale di Pax Christi) Luigi Bettazzi fu “discreto seminatore di pace, della costruzione della pace”. “Come tutti i profeti autentici, Bettazzi è stato”, aggiunge Dell’Olio, “un uomo libero. Anche se ripeteva che il profeta era don Tonino Bello e che lui era piuttosto il patriarca, i costruttori della pace di ogni latitudine e di ogni credo, l’avranno come punto di riferimento sempre perché quell’uomo dava puntualmente voce all’anima. Non solo alla sua ma all’anima del mondo di cui aveva imparato le lingue nelle sessioni del Concilio. È figlio di quella Pentecoste. Se qualcuno dovesse lasciarsi sfuggire che da oggi il mondo è più povero, rispondetegli che il futuro è più ricco. E non abbiamo altre parole se non il grazie che si deve al cielo e alla terra”.