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Cari amici lettori, c’è una figura di Avvento che mi piace particolarmente: quella di Zaccaria, il sacerdote che troviamo all’inizio del Vangelo di Luca. È una storia per certi versi vicina alla nostra… ma che, allo stesso tempo, ci apre a nuovi orizzonti, in questo tempo, che dovrebbe essere di attesa gioiosa e trepidante. Zaccaria ed Elisabetta sembrano avere tutte le carte in regola per una vita benedetta da Dio: lui è un sacerdote, discendente nientemeno che di Aronne (il fratello di Mosè); lui e la moglie sono due “giusti”, cioè fedeli al Signore e preoccupati di osservarne tutti i precetti. Zaccaria compie i suoi doveri sacerdotali, ma sembra un tran tran che non lo coinvolge: fuori il popolo sta pregando intensamente, ma della preghiera di lui non si dice niente.
È muto davanti a Dio ancor prima di diventarlo effettivamente: un culto formale, ma il cuore è assente. Non assomiglia un po’ a noi questo Zaccaria, che compie gesti ripetitivi, che vive una delusione profonda (non ha figli, una ferita grave per la fede biblica) e non dice nulla a Dio della sua amarezza, ma si limita a vivacchiare nello scetticismo? Mi fa un po’ pena questo Zaccaria depresso, ma ci rappresenta un po’ tutti nella nostra religiosità, fatta a volte un po’ di forme esteriori più che di sostanza, impermeabile a ogni novità da parte di Dio. Quando l’Altissimo poi si fa vivo, mandandogli un angelo con un annuncio che dovrebbe essere per lui una “bomba” – la nascita di un figlio! –, la sua reazione è del tipo: «Io? Stai scherzando?…».
Alla sua incredulità corrisponde come “pena” il mutismo. Muto nella bocca perché non ha ascoltato con l’orecchio. Depresso, non riesce a credere alla “buona notizia”. Non siamo un po’ così anche noi? Sembriamo programmati più per ricevere cattive notizie che per accogliere quelle buone. Eppure non mancano angeli nella nostra vita: un incontro casuale inaspettato, una buona parola che ci ha tirato su… Quel mutismo che colpisce Zaccaria però non è inutile.
È quasi un “ritiro spirituale”, un tempo di silenzio, per assorbire la lezione, riflettere, imparare. Capita anche a noi, dopo qualche evento che ci colpisce o semplicemente perché ci accorgiamo che dentro di noi le cose non vanno. È un tempo in cui l’anziano sacerdote – e noi – impariamo a fidarci, a sperare, ad amare, a ricomporre i frammenti complicati della nostra vita. E in questo procedere sofferto la novità di Dio si fa strada, inaspettatamente. La “salvezza” di Zaccaria passa per una donna e fuori dal tempio: la moglie Elisabetta! È lei che accoglie con fede l’irrompere inatteso di Dio con una gravidanza impossibile, riconoscendo la mano di Dio in quel che le sta avvenendo (Luca 1,15). La “rottura” con un passato morto, pur osservante della Legge, viene evidenziata nel suo “no” al nome voluto dalla tradizione per il bambino: non sarà un Zaccaria “junior”, ma si chiamerà Giovanni (1,60)! E Zaccaria “senior” questa volta prende una strada nuova: conferma il nome di “rottura” voluto dalla moglie (1,63).
Il silenzio è stato per lui un periodo di grazia. Non càpita anche a noi così, di cominciare qualcosa di nuovo dopo un silenzio che è un periodo di “buio” e di travaglio? Questa volta Zaccaria è toccato dentro: la sua lingua si scioglie in quel canto di lode, il Benedictus, che si proclama ogni giorno nelle Lodi (1,64-79). Chissà che questo Avvento non ci aiuti a predisporci alla gioia, a una sana rottura, ad accorgerci che il Signore viene anche nelle nostre vite, dove predomina forse più il grigiore depresso che i colori accesi della vita.



