Se si ricorre ai vari dizionari delle citazioni, dei detti, delle frasi famose, dei proverbi e simili, ci si sente decisamente imbarazzati per l’antifemminismo che vi trasuda. Non vogliamo ora fare esempi perché la durezza di certe espressioni sconcerterebbe ogni lettrice o lettore che abbia un minimo di sensibilità. Sappiamo, però, che il maschilismo dominante per secoli e la struttura patriarcale della società hanno creato un codice a cui tutti si conformavano. A questo modello non si sottrae neppure la Bibbia che è pur sempre Parola di Dio, ma incarnata nelle coordinate della storia e non un perfetto manuale di verità piombato dal cielo. Per questo se leggiamo in Qohelet la frase: «Trovo che amara più della morte è la donna: essa è tutta lacci, una rete il suo cuore, catene le sue braccia, per cui chi è gradito a Dio la sfugge e chi sbaglia ne è catturato» (7,26), dobbiamo applicare una corretta interpretazione e non adottare una lettura fondamentalistica, cioè letteralista. Tra l’altro, è la stessa Bibbia che presenta gure straordinarie di donne come Debora, Anna, Giuditta, Ester, Susanna, la Sulammita del Cantico dei Cantici e così via. Il lungo itinerario che noi abbiamo proposto all’interno delle pagine del Vangelo di Luca ci ha dimostrato poi a quale meta ci hanno condotto Gesù e la stessa Chiesa delle origini cristiane.
Le donne, infatti, sono state non solo al centro dell’attenzione di Cristo nei momenti drammatici della loro esistenza, ma sono state le sue compagne di viaggio insieme agli apostoli e sono state loro ad aprirci l’orizzonte luminoso della Pasqua. Anche gli Atti degli Apostoli hanno fatto scorrere davanti ai nostri occhi una folla di presenze femminili che spesso sostenevano l’opera di Pietro e di Paolo e di tutti gli annunciatori del messaggio di Cristo. Abbiamo anche scoperto che Luca ha dipinto i più bei ritratti di Maria, la madre di Gesù, e lo ha fatto non tanto sulla tela o sulle tavole, come ha immaginato la tradizione popolare e quella artistica. Lo ha fatto attraverso la sua penna di evangelista, in particolare nel racconto dei primi anni di vita di Cristo, mentre sarà san Giovanni ad accompagnarci fin sulla cima del Calvario per assistere alla sua ultima, drammatica eppur gloriosa vicenda materna raccogliendo le parole ultime del Figlio moribondo in croce (19,25-27). Noi ora, giunti anche a conclusione dell’anno liturgico 2018-19 che abbiamo integralmente dedicato a identicare e a far entrare in scena tutte le donne evocate da san Luca nelle sue due opere, facciamo scendere il sipario e poniamo invece del cartello con la parola “Fine” un appello dell’apostolo Paolo. Egli – che fu pure figlio del suo tempo e che spesso mostrò quanto sia “incarnata” la Parola di Dio nella cultura e nella società di ogni epoca – ha riconosciuto che «non c’è più né maschio né femmina, perché tutti siamo uno in Cristo Gesù» (Galati 3,28) e ha così interpellato gli uomini: «Voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ama la Chiesa... Chi ama la propria moglie, ama sé stesso» (Efesini 5,25.28).