Caro don Stefano, un mio amico recentemente morto alla bella età di 92 anni ha chiesto, dopo la morte, di essere cremato e che le sue ceneri venissero disperse in una parte dell’Appennino tosco-emiliano a cui era molto legato.
Se mi interroga il diffondersi della pratica della cremazione, ancora di più mi colpisce la dispersione delle ceneri. La Chiesa non è contraria a quest’ultimo tipo di pratica? Scrivo perché la cosa mi ha sorpreso, essendo lui credente e praticante.
Ma ho notizia anche di persone che conservano le ceneri dei loro cari defunti a casa loro. In una recente visita a un cimitero il guardiano mi ha persino detto che negli ultimi anni le estumulazioni dai loculi e le esumazioni dalla terra dei corpi dei defunti sono sempre meno perché queste pratiche stanno crescendo, diminuendo così il fabbisogno di tombe a terra e di loculi. Cosa dobbiamo pensare riguardo a questi cambiamenti nella pratica del culto dei morti? Cesseranno le visite ai cimiteri con questa privatizzazione del lutto?
ALBERTO
Caro Alberto, negli anni scorsi siamo più volte tornati su questi temi che incrociano le istanze della nostra fede con la cultura del tempo che viviamo. Visto che, però, la pratica della dispersione delle ceneri e della loro conservazione nelle case private, come dici tu, è un fenomeno che sta prendendo piede è bene tornarci su. Iniziamo dai numeri: nel 2022 (dati Sefit, ultima rilevazione statistica) sono 91 gli impianti di cremazione autorizzati ed operanti in Italia.
Erano 89 nel 2021 e 87 nel 2020. Dunque, in aumento. Segno di una crescita della domanda? Si, come confermano i numeri: erano 277.106 nel 2020 (37,1% del totale dei defunti dell’anno), 290.145 nel 2021 (40,9%) e 305.901 nel 2022 (42,8%).
Se, forse, il Covid ha accelerato l’uso di questa pratica, il trend ormai è chiaro e ha ormai preso piede nella nostra società. Per la cronaca l’Italia in Europa è al quarto posto in questa speciale classifica dopo Gran Bretagna, Germania e Francia. E la Chiesa cosa dice? Limitandoci ai tempi moderni, nel 1886, l’allora Sant’Uffizio condannò la cremazione perché era diventata una bandiera della massoneria in funzione anticattolica: una teoria propagandata, cioè, per negare la risurrezione dei corpi, il centro della nostra fede.
Nel 1963, venuta meno questa motivazione, si tolse il divieto, tanto che il canone 1176 §3 del Codice di diritto canonico oggi suona così: «La Chiesa raccomanda vivamente che si conservi la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti; tuttavia non proibisce la cremazione, a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana». Nella libertà di scelta, resta infatti quel pilastro della fede cristiana che si riferisce al nostro destino dopo la morte: la parola di Gesù sulla risurrezione sostiene la nostra (pur fragile) speranza della Vita oltre la vita.
Lo stesso san Paolo lo attesta: «Sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore» (2Corinzi 5,6-8). Lo afferma proprio sulla materia che stiamo trattando anche l’Istruzione della Congregazione per la dottrina della fede dal titolo Ad Resurgendum cum Christo del 15 agosto 2016: «Mediante la sua morte e risurrezione, Cristo ci ha liberato dal peccato e ci ha dato accesso a una nuova vita».
La Chiesa ci invita a non idolatrare il corpo mortale, prezioso e indispensabile “abito” del nostro pellegrinaggio terreno di cui dovremo però un giorno spogliarci per rivestire la veste nuziale dei redenti. Il nostro corpo risorgerà glorioso e ognuno manterrà la propria identità, anche se non sappiamo in quale modo. Per questo la Chiesa si inserisce nella millenaria pratica umana di trattare con religioso rispetto i morti, tanto che nel rito delle esequie lo onora con l’aspersione dell’acqua benedetta e l’incensazione: esso è stato tempio dello Spirito Santo, sacrario di quel soffio divino che chiamiamo anima immortale.
Del resto la pratica di seppellire il corpo dei defunti nel terreno, consigliata dalla Chiesa, evoca la sepoltura del corpo di Gesù e richiama l’immagine del seme che, nascosto sotto terra a marcire, dà buon frutto (cfr. 1Corinzi 15,37). Veniamo, infine, alla dispersione delle ceneri e alla loro conservazione in casa in apposite urne. Se entrambe queste pratiche sono consentite, a certe condizioni, dalla legge 130/2001, la Chiesa non le condanna, ma esprime una contrarietà di fondo: per il cristiano la morte non separa dalla comunione ecclesiale e il cimitero in qualche modo è il segno spirituale che unisce i suoi figli nella vita terrena e in quella eterna. La visita ai cimiteri per un credente significa proprio questo.
Se la conservazione a casa rischia, poi, di diventare un fatto privatistico e intimistico, senza contare che potrebbe diventare per la generazione successiva una presenza ingombrate o almeno imbarazzante, la pratica della dispersione delle ceneri, oltre che cancellare la memoria fisica del defunto, potrebbe essere espressione di una religiosità new age, animata dal desiderio di un’anonima fusione con un dio cosmico e impersonale.
Al di là di ogni motivazione favorevole o contraria di queste pratiche, si tratta di temi di grande attualità, con cui ognuno di noi deve misurarsi, ponendosi la domanda di fondo, tanto più centrale in questo tempo pasquale che stiamo vivendo: credo davvero nella risurrezione di Gesù? E nella mia?