La nota pagina delle nozze di Cana si lascia aprire e interpretare da diversi punti di vista. La prima prospettiva è liturgica. Il racconto dell’acqua mutata in vino fa seguito alle due memorie appena precedentemente celebrate (Epifania e Battesimo di Gesù) e i tre episodi sono stati compresi insieme come modalità dierenti della manifestazione del Verbo nell’innologia della Diurna Laus e nell’antifona al Magnificat della liturgia romana dell’Epifania, come anche nella preghiera alla Comunione della Messa di rito ambrosiano della stessa festa, che recita così: «Oggi la Chiesa si unisce al celeste suo sposo che laverà i suoi peccati nell’acqua del Giordano. Coi loro doni accorrono Magi alle nozze del Figlio del Re, e il convito si allieta di un vino mirabile». Siamo, ci insegna la liturgia, nel regime dei “segni”.
La seconda prospettiva viene proprio dalla finale della pagina di Vangelo: «Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù» (2,11). La nuova traduzione Cei ha corretto la versione del 1997, dove si trovava, al posto di segni, “miracoli”. L’evangelista Giovanni, infatti, non vuole usare i termini che si trovano in Matteo, Marco e Luca, e utilizza invece diciassette volte semeion, “segno”, una parola tecnica con la quale si sottolinea che quanto è avvenuto non è un prodigio, ma una rivelazione da parte di Dio perché Gesù venga riconosciuto come l’Inviato denitivo del Padre. Molti sono i segni dati nel vangelo di Giovanni, e quello di Cana è centrato sulla Parola.
La terza prospettiva parte sì da un contesto di festa nuziale, dalla gioia dei partecipanti al banchetto, ma soprattutto dalla mancanza del vino buono, di cui si rende conto la Madre di Gesù. Se il vino è un segno messianico, legato alla gioia per la futura venuta del Messia, è però anche una metafora della Parola di Dio, come è stato notato soprattutto da Aristide Serra attraverso la lettura delle traduzioni antiche in aramaico del Cantico dei Cantici, che collegano il vino al dono della Legge: «Per il giudaismo, quel vino era la gura della Torà, donata al Sinai», e conservata fino al tempo di Gesù. Alle nozze umane, il vino migliore è oerto all’inizio. Alle nozze di Dio col suo popolo, il vino più squisito è servito alla ne. Si tratta però dello stesso vino, quello conservato nella cantina del Sinai perché fosse bevuto da tutto il popolo, come dagli amanti del Cantico.
Gesù è capace di ridare gusto al vino dell’antica alleanza, la Legge, che stava perdendo il suo sapore a causa di interpretazioni riduttive. In questo senso, il segno di Cana è paragonabile a quanto si è visto nel vangelo della Domenica dopo l’Ottava di Natale a riguardo di Nazaret, quando Gesù inaugura la sua missione con una predicazione. È quanto, secondo Marco, accadrà a Cafarnao, quando in sinagoga le parole di Gesù verranno riconosciute dierenti da quelle di tutti gli altri (1,22). Il segno di Cana sta a quello della sinagoga di Nazaret, di Luca, e a quello di Cafarnao, di Marco: tre modi per dire che Gesù fa gustare il vino buono della Parola di Dio.