La prima delle letture della quarta domenica del tempo pasquale è tratta dai racconti del terzo viaggio di Paolo. L’apostolo si trova a Troade, sulla strada che lo porterà a Gerusalemme.
Durante la celebrazione di quella che corrisponde alla nostra Eucaristia domenicale – nel racconto è lo «spezzare il pane» – accade un incidente. Il tono della scena è solenne poiché si tratta anche dell’occasione di saluto di Paolo alla comunità, una sorta di “ultima Cena”. La lunghezza del discorso dell’apostolo, il protrarsi della riunione, il dettaglio della quantità di luci presenti sono, appunto, i segnali di una circostanza di particolare importanza. Durante la predicazione di Paolo, un giovane vinto dal sonno, cade dalla finestra della sala posta al terzo piano morendo sul colpo. Con richiami biblici importanti ai miracoli di Elia ed Eliseo (1Re 17,17ss.; 2Re 4,34ss.), di Gesù (Luca 7,11-17) e di Pietro (Atti 9,36ss.) Luca fa intervenire immediatamente Paolo. Egli, sceso velocemente, si getta sul giovane stringendolo fortemente a sé come per comunicargli il soffio vitale (in analogia con i già citati Elia ed Eliseo) e proclamandolo di nuovo vivo. Compiuto il prodigio, l’apostolo riprende la celebrazione, spezzando il pane e continuando l’insegnamento fino all’alba.
Nel racconto dell’episodio, al di là del miracolo, Paolo viene presentato non semplicemente come missionario del Vangelo, ma come figura di guida a tutto tondo. Annuncia la Parola, spezza il pane eucaristico, si prende cura delle persone, mantiene vive le relazioni, soccorre chi si trova in difficoltà. La sua presenza è di riferimento alla comunità e la sua azione è tutta a vantaggio della crescita, del benessere, della fede di tutti i fratelli e sorelle. In lui si riflettono le parole che Gesù, nel brano di Vangelo tratto dal capitolo 10 di Giovanni, rivolge ai Giudei annunciando la forza dell’amore del Padre e la sua volontà di vita per tutti coloro che vorranno accogliere il suo dono.
Durante la festa della Dedicazione del Tempio, Gesù viene letteralmente «accerchiato», con intenzioni affatto amichevoli dalle autorità religiose, che Giovanni chiama nel suo vangelo «Giudei». La presenza, le parole, le azioni del Nazareno causano loro preoccupazioni che gli chiedono di risolvere. Pretendono che dichiari in modo univoco se sia lui il Messia, ma Egli non intende sottostare alla loro richiesta.
Il problema non sta in una sua presunta reticenza, bensì nella loro incredulità. La metafora del pastore e del gregge a riguardo è chiara: c’è una chiamata che il Padre rivolge a tutti e a ciascuno, senza alcuna distinzione, a vivere un rapporto di stretta comunione e intimità con il Figlio. Tale chiamata è però all’insegna della libertà e ognuno può rispondervi nei modi e nei tempi che ritiene opportuni, con la possibilità anche di rifiutarla. Negli uomini e nelle donne che anche oggi incarnano i tratti del pastore buono, risuona la Parola consolante del Padre che dà la vita senza misura e che ciascuno ha la possibilità di accogliere sempre nuovamente e più profondamente.