c'è un collegamento tra la prima lettura – tratta dal capitolo sesto di quel lungo discorso di Mosè a Israele nel deserto, che è il libro del Deuteronomio – e il Vangelo della domenica di Lazzaro: mentre il fratello di Marta e Maria è chiamato a uscire da un sepolcro (una grotta, alla lettera, come spiega Giovanni al v. 38), il popolo di Israele è stato fatto uscire dall’Egitto.
Il verbo exago (“condurre fuori”, “far uscire”) in Deuteronomio 6,21.23 dice l’azione compiuta dal Dio potente che libera dalla mano del Faraone, ed exerchomai (“venire fuori”, “uscire”), corrispondentemente, l’effetto di questa azione: la liberazione di Lazzaro dalla morte. Mosè sta dicendo agli Ebrei che dovranno osservare le leggi date sul monte Sinai per poter essere «conservati in vita», mentre a Lazzaro è restituita la vita da Gesù: il desiderio di Dio è quello che gli uomini vivano, siano liberi, possano finalmente “uscire”. La morte sembrava a tutti, comprese le sorelle del defunto, un destino irrevocabile per il fratello: la tomba chiusa, i quattro giorni trascorsi, le parole di Marta, che credeva come solo «all’ultimo giorno» Lazzaro sarebbe risorto. Così, l’Egitto risultava per le tribù di Israele la tomba in cui sarebbero stati sepolti, dopo secoli di lavori forzati e la minaccia di quel Faraone che toglieva la vita ai bambini maschi appena partoriti.
Con queste letture ci viene detto che la morte non ha l’ultima parola: chi ha creato il mondo e donato la vita è più forte della morte. Tutto ciò però non è immediatamente attingibile dalla ragione, ed è piuttosto difficile da credere. Ecco perché da qualche anno si è aperto un interessante dibattito a proposito del ruolo di Marta nella nostra pagina. Al centro di essa, infatti, non sembra esserci tanto il miracolo in sé, che con la sua narrazione occupa solo due o tre versetti del capitolo undicesimo di Giovanni, ma il dialogo di Gesù con Marta e Maria. Marta è bene caratterizzata: è un “tipo”, è la donna affaccendata, ma è anche quella che parla molto, e che proclama solennemente la sua fede nella potenza di Dio: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Ma a guardar meglio, a emergere con il suo spessore umano, e soprattutto teologico, è l’altra sorella, che però sembra “in disparte”, in un ruolo gregario, perché non corre incontro al Maestro, come la sorella: se ne sta in casa, seduta.
Marta parla, dialoga con Gesù, mentre Maria sembra ripetere le sue parole e soprattutto attende di essere chiamata dal Maestro per recarsi da lui: ma così è ritratta dall’evangelista proprio come la discepola attenta che ascolta la voce del Buon pastore che chiama le pecore per nome e le conduce fuori (exago; Giovanni 10,3). Lazzaro viene chiamato dal sepolcro (cfr. Giovanni 12,17), Marta è chiamata dal Maestro, come Israele è chiamato (cfr. Matteo 2,15) alla vita e alla libertà. Il tempo di Quaresima ci dice che tutti siamo chiamati a uscire, per trovare la vita, e non solo «all’ultimo giorno »: già da adesso.