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giovedì 17 aprile 2025
 

Domenica 23 Marzo - III di Quaresima Di Abramo

La terza domenica di Quaresima è detta «di Abramo», a motivo della discussione tra Gesù e i Giudei che avevano creduto in Lui, oggetto del brano evangelico della liturgia tratto dal capitolo 8 di Giovanni. Tema del dibattito è il rapporto tra l’identità ebraica tradizionale e la fede nel Cristo.

Gesù afferma subito che è indispensabile la fedeltà alla sua persona e al suo insegnamento (occorre «rimanere » nella sua parola). In ciò consiste il vero discepolato, quello che permette di fare esperienza del manifestarsi di Dio in lui («conoscere la verità») e di entrare nella vera libertà, cioè in una vita nella luce dell’Amore del Padre. La reazione dei Giudei è comprensibile: non sono degli idolatri, adorano il Dio di Abramo e non sono schiavi di falsi dei. Gesù li prende sul serio spiegando loro come la vera schiavitù sia quella del peccato e come non vi sia appartenenza etnica che preservi da quel rischio. Quando si finisce schiavi, il rapporto con il «padre» - il padrone di casa, Dio - è compromesso e precario, ma il Figlio - Gesù - ha il compito di liberare, cioè di ricondurre all’esperienza della figliolanza in Dio coloro che se ne sono allontanati.

Gesù non contesta dunque l’appartenenza alla stirpe di Abramo dei suoi interlocutori, ne contesta piuttosto l’agire. Essi si dicono figli del grande patriarca, ma non ne imitano le opere, non si dedicano al compimento della volontà di Dio. Dunque, il padre che è all’origine del loro modo di comportarsi non può essere certo Abramo, ma qualcuno che, come loro, è «omicida e padre della menzogna», il Nemico di Dio. Essi seguono una via di morte, ma anche per loro è aperta la strada della vita e la si imbocca ascoltando la parola di Gesù.

Nel linguaggio di Giovanni, la “morte” non è quella del corpo, ma è la separazione da Dio, mentre la “vita piena” è la perfetta comunione con Lui. I Giudei fraintendono, credendo che Gesù pretenda invece di cancellare la morte terrena. Sono ormai certi della sua possessione demoniaca. La sua pretesa può essere solo frutto di pazzia o di una arroganza che intende attribuirsi i poteri divini. Gesù li smentisce affermando che da sé non può nulla, che tutto gli viene dal Padre e niente di ciò che fa avrebbe valore se avesse come scopo l’autoglorificazione.

È il Padre a glorificare Gesù, rivelandosi in Lui; proprio quel Dio che i Giudei dicono di conoscere ma dal quale sono invece lontani. Non riconoscere Gesù come colui in cui Dio è presente dimostra come non abbiano idea di chi sia davvero il Padre suo.

I Giudei ancora fraintendono le sue parole, pensando che pretenda una contemporaneità cronologica con Abramo e alla loro obiezione Gesù risponde con la formula di rivelazione divina anticotestamentaria - «Io Sono» - che qualificava Dio stesso. Ciò che per il lettore suona come una verità di fede - Gesù è Dio - alle orecchie dei Giudei è una bestemmia, per la quale vale la pena di morte. Ma non è ancora l’«ora» di Gesù che si mostra sovrano nel decidere del proprio destino, sfuggendo agli avversari.


20 marzo 2025

 
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