Per tre volte, nelle letture di questa santa Pasqua, sentiremo risuonare l’antico e sempre attuale kerygma (“annuncio”), col quale si proclama che Gesù, il crocisso, è risorto.
Il lezionario è inaugurato dal prologo al secondo libro di Luca, gli Atti degli Apostoli. Si tratta di un’occasione speciale per riprendere in mano la storia dell’esperienza cristiana delle origini, come ci invita a fare papa Francesco. In un’intervista dell’aprile 2020 invitava a riettere su quale Chiesa dovrebbe uscire dalla crisi, e spiegava che «dobbiamo imparare a vivere in una Chiesa in tensione tra il disordine e l’armonia provocati dallo Spirito Santo. Un libro di teologia che possa aiutare a comprendere questa tensione sono gli Atti degli Apostoli».
Ed ecco che nelle prime righe di questo libro viene ripreso l’annuncio della risurrezione, quando l’autore scrive che Gesù «si è mostrato vivo» ai discepoli. Scrive anche che è restato in loro compagnia, dopo la risurrezione, per 40 giorni, «mangiando il sale» con essi. È questa la resa letterale del verbo synalízomai, tradotto, in senso esplicativo, con «mentre si trovava a tavola»: mangiare il sale insieme rappresenta la comunione, il condividere il tempo da amici, come si legge in un testo di Aristotele: «Secondo il proverbio, non si arriva a conoscersi reciprocamente prima di aver consumato insieme una quantità di sale». Quante cose avrà dovuto spiegare Gesù ai discepoli, che pensavano fosse tutto FInito, e l’ha fatto perdonando le loro infedeltà, da amico!
Lo stesso annuncio, ma in una forma ancora più antica (la Prima lettera ai Corinzi risale agli anni 53 o 54 d.C.), viene da Paolo, che trasmette quanto egli dice di aver ricevuto (15,3) da altri. Qui le due componenti del kerygma sono la morte e la risurrezione di Gesù, organizzate in quattro frasi collegate dalla congiunzione «e», con quattro verbi che hanno per soggetto Gesù: morì, fu sepolto, fu risuscitato, apparve. È interessante che il penultimo verbo sia al passivo, e dica che il Cristo è «stato risuscitato», riportato in vita dal Padre. Le parole di Paolo però non riguardano solo il Risorto, ma sono un appello alla vita di ogni uomo che le ascolta: l’Apostolo dice che la morte di Gesù è avvenuta «per i nostri peccati». Ciò signica che è stata «un’uccisione ingiusta e vergognosa, non voluta da Dio Padre, ma perpetrata dagli uomini» (Franco Manzi) e «per» noi, cioè – come scriverà altrove Paolo (cfr. Romani 5,8, ad esempio) – «in favore» di tutti gli uomini.
La pagina del Vangelo è una parte del ventesimo capitolo di Giovanni, a cui seguirà – domenica prossima – la conclusione dello stesso. In questo capitolo anzitutto è rappresentata l’esperienza del sepolcro vuoto, vissuta da Maria, Pietro e un altro discepolo (20,1¡10), e poi il brano di oggi, ovvero il kerygma dato da Gesù stesso e poi da Maria. È il Risorto che anzitutto mostra di essere vivo, chiamando Maria per nome (20,16); per tale gioia, la discepola lo dirà subito agli altri, divenendo così l’«Apostola degli Apostoli».