Nella III Domenica del Tempo pasquale, continuiamo ad approfondire i signifi cati degli eventi che sono a fondamento della nostra fede, quelli degli ultimi giorni della vita terrena di Gesù. Il brano del Vangelo di Giovanni che la liturgia ci off re ha due importanti cornici da considerare: anzitutto quella del Tempio in cui Gesù si sta confrontando, o meglio scontrando con le autorità religiose; il secondo elemento che fa da sfondo è la Festa delle Tende. Si trattava di una festa agricola, poi divenuta memoria del soggiorno degli israeliti nel deserto. Nelle celebrazioni che caratterizzavano questa ricorrenza, la luce aveva un ruolo particolare. Nel cortile del Tempio, infatti, si erigevano degli enormi candelabri che venivano accesi durante la notte, mentre gli uomini danzavano facendo giochi di destrezza con delle torce accese. Erano l’immagine della colonna di fuoco che aveva guidato il popolo durante le notti della fuga dall’Egitto.
Nella Festa delle Tende, infatti, si faceva memoria della liberazione operata da JHWH che aveva salvato Israele dalla schiavitù e, contemporaneamente, si alimentava la speranza della salvezza defi nitiva attesa nei tempi messianici. Si comprende bene che, attribuendosi la metafora della luce, Gesù rivendica per sé il ruolo di guida divina, dichiarando, allo stesso tempo, di realizzare la speranza che permeava la festa. Un’affermazione che non poteva che suonare come provocatoria alle orecchie delle autorità.
Oltre a questi elementi di carattere storico, va anche ricordato che in Giovanni la «luce» è ciò che viene nel mondo per opporsi alle «tenebre» che avvolgono l’umanità. È il manifestarsi del divino in Gesù, il quale è «luce» in quanto rifl esso del volto del Padre. Per questo chi lo segue «ha la vita», intesa come «pienezza di vita». Gli avversari non sembrano contestare la sua aff ermazione, bensì la sua legittimazione ad accampare pretese simili: non ha nessuno che confermi le sue parole e la testimonianza resa a se stessi non ha valore nella loro tradizione. Gesù accetta la schermaglia giuridica ricordando loro che, secondo il diritto ebraico dell’invio, il testimone non è indispensabile qualora la missione sia stata consegnata solo oralmente.
Nel caso di Gesù, nessuno poteva presenziare all’invio e i suoi avversari non possono accedere alla sua origine («… so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado»). La schermaglia prosegue con l’osservazione da parte di Gesù sull’inadeguatezza dei criteri usati dai suoi avversari: utilizzano principi di questo mondo, inapplicabili alla realtà da cui Lui proviene.
Il richiamo al Padre e alla sua testimonianza chiude questa prima parte dello scontro con i farisei che proseguirà. Gesù si dichiara inviato da Dio e aff erma una piena e perfetta comunione di intenti e di visione con Lui. La reazione degli avversari tradisce la loro incomprensione e spinge Gesù a formulare un giudizio severo su di loro: non lo conoscono né riconoscono come inviato da Dio poiché non conoscono il Padre e viceversa.




