Le domeniche dopo l’Epifania nel Rito ambrosiano sono pensate come «un itinerario di riflessione sulla Parola che può mantenere vivo lo stupore credente dell’assemblea che celebra e concentra l’attenzione, nei racconti evangelici, sui segni compiuti dal Gesù terreno» (Franco Manzi). Il segno del capitolo ottavo del vangelo di
Matteo è uno dei tre segni compiuti dal Signore, all’inizio del suo ministero, verso gli esclusi.
Matteo, che nei capitoli ottavo e nono racconta dieci miracoli del Messia Gesù, colloca all’inizio di questa serie la guarigione del lebbroso, la guarigione del servo di un centurione (la pagina del Vangelo di questa V domenica dopo l’Epifania) e quella della suocera di Pietro. Chi viene soccorso da Gesù è, infatti, escluso dalla piena partecipazione di Israele in quanto impuro (il lebbroso), perché pagano (il servo del centurione), o donna (la suocera di Pietro).
Il centurione poteva essere un romano, o un pagano di origine diversa. Secondo alcuni è probabile che si trattasse di un soldato di Erode Antipa, allora regnante, il quale – essendo cresciuto a Roma – aveva applicato la terminologia militare latina al suo esercito.
La preoccupazione per il suo servo (o, come è possibile tradurre, e sembra probabile per questo Vangelo, suo figlio) spinge il centurione a rivolgersi a Gesù. Poiché a quel tempo le armi in dotazione a un centurione erano una daga a doppio taglio e una spada corta, Gesù non si arresta di fronte al fatto che quest’uomo sia armato: lo ascolta e lo asseconda, concedendogli il miracolo. Ai suoi discepoli però Gesù proporrà la logica della non violenza, che aveva già presentato nel discorso della montagna («Offri a lui anche l’altra guancia»: Matteo 5,39), e su cui tornerà col rimprovero rivolto a Pietro che prenderà la spada all’arresto di Gesù (26,52).
Il Signore non rifiuta un gesto di amore nei confronti di un uomo armato, escluso dalla sua gente, e non ebreo: ciò che conta è il suo dolore. Gesù non si offre di entrare nella sua casa, ma la distanza – simbolica e fisica – che lo separa dai sofferenti che incontra (anche pagani) non rappresenta un ostacolo. Anzi: proprio grazie al fatto che Gesù non varcherà la soglia della casa di quello straniero, verrà alla luce la fede del centurione («Avvenga per te ciò che hai creduto»: v. 13).
Lo stupore di Gesù di fronte alla fede di quest’uomo vale anche per noi, cristiani di oggi: ci invita a non presumere di essere credenti, o salvati, semplicemente perché battezzati. Gesù forse oggi esclamerebbe, magari davanti a un credente di altra religione: «In verità io vi dico, nella Chiesa non ho trovato nessuno con una fede così grande!».
Nella lettura di Ezechiele si dice che il discendente di Davide è venuto per essere «un unico pastore per tutti», superando le nostre categorie e divisioni. È Gesù, che vede bene, meglio di noi, oltre le apparenze e i pregiudizi: lo stesso Gesù che, leggeremo domenica prossima, parlerà della fede di un altro straniero, un Samaritano.