Parlare di Quaresima, in tempo di pandemia, è quasi provocatorio. La parola deriva dall’aggettivo latino quadragesimus, che significa «quarantesimo» e indica il quarantesimo giorno prima della Pasqua. Però – come si legge nella voce relativa della Treccani – con quadragesimus si può intendere anche “quarantena”.
Che dopo tanti mesi passati chiusi in casa a causa del Covid-19 si debba tornare a questo, sembra ingiusto; che si parli ancora di penitenza, dopo tutto quello che abbiamo passato, parrebbe addirittura esagerato.
Ma il senso del cammino quaresimale è soprattutto altro. In primo luogo, perché il termine di questi quaranta giorni è la Pasqua, cioè la memoria di una singolarità nella storia dell’umanità – la risurrezione di Gesù – che non ha pari. Questo è ancor più vero nella liturgia ambrosiana, che «consente di assaporare in anticipo la gioia della risurrezione di Cristo. A questo scopo s’inizia a leggere, alla vigilia della prima domenica di Quaresima, la pericope di Marco 16,9-16. Con un colpo d’occhio, si contempla il “dopo” della risurrezione: le apparizioni di Cristo e gli effetti positivi della sua risurrezione nella vita della Chiesa» (F. Manzi).
In secondo luogo, anche nelle letture domenicali di questo inizio di Quaresima si intravvedono non solo il tema della prova (come quella vissuta da Gesù, per quaranta giorni e quaranta notti, tentato da Satana), ma anche quelli della gioia e della consolazione.
Così è, per esempio, nella lettura di Gioele. Niente sappiamo di questo profeta, se non il nome, che significa «YHWH è Dio», col quale, già in questo modo, egli proclama la fede nell’unico Signore di Israele. La pagina inizia con un imperativo: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti» (v. 12), ma poi ne è subito spiegato il senso: «perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male» (v. 13). Gioele, chiedendo la conversione, offre una speranza e «benché perfettamente consapevole della gravità della situazione e dei possibili risvolti negativi futuri, dimostra di credere nella misericordia e compassione di Dio» (L. Lucci).
Anche il breve brano della Prima lettera di Paolo ai Corinzi è illuminante. L’Apostolo – che forse aveva sentito parlare del grandioso evento sportivo dei giochi dell’Istmo – descrive la disciplina seguita dagli atleti, come anche il modo in cui tratta il suo corpo, ma tutto per un fine: correre (cioè, vivere) per raggiungere la meta e conquistare il premio!
Infine, la stessa pagina del Vangelo racconta l’esito della lunga prova di Gesù: questa non si esaurisce nelle tentazioni, e nemmeno nella fuga di Satana. «Ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano» (4,11), scrive Matteo: Dio, che poteva sembrare assente nel deserto, invece c’era, e si mostra anche attraverso i suoi inviati, che assistono il Signore, e soccorrono tutti noi nel tempo delle nostre prove, come quelle che stiamo affrontando adesso.