Anche in questa domenica la liturgia ci offre una pagina dal vangelo di Matteo, quella notissima del cosiddetto “giudizio universale”. La grandiosa scena, rimasta impressa nella storia dell’esegesi come in quella dell’arte – si pensi solo all’affresco di Michelangelo nella cappella Sistina – si trova esclusivamente in questo Vangelo.
Può essere definita come una parabola sulla fine dei tempi, simile a quelle che Gesù ha già raccontato. Di fatto, si tratta delle ultime parole di Gesù nel racconto di Matteo (dopo questa scena, infatti, ha inizio la Passione), che vedono come protagonista il «Figlio dell’uomo», descritto come un re seduto, al modo in cui Gesù stesso lo ritrarrà poco più avanti, rispondendo alla domanda di Caifa: «Allora il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio”. “Tu l’hai detto – gli rispose Gesù; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo”» (Matteo 26,63-64). Questo re – o Figlio dell’uomo – viene però caratterizzato anche in un altro modo, e cioè come il “bisognoso” a cui è stata usata (o non usata) misericordia. Si tratta del tipico “colpo di scena” che ha luogo proprio nelle parabole. Mentre ci si aspetta che quel potente Signore scenda dal cielo solo per giudicare e punire, si scopre invece che era colui che aveva avuto fame, sete, o era nudo, ecc., perché, spiegherà lo stesso re: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (25,41).
Chi mai si sarebbe aspettato che Gesù si identificasse con i bisognosi?! Ma da qui viene un impegno per tutti: nei poveri vi è la presenza misteriosa di colui che nel vangelo di Matteo è l’«Emmanuele», il «Dio-connoi» (cf. 1,23) e che ha promesso di essere con i suoi «sino alla fine del tempo» (28,20). Lo è, presente, non solo nei sacramenti o nella Chiesa, ma anche nei poveri.
Il principale significato della scena del giudizio universale, allora, è quello di un appello alla vita del credente, da inquadrare nei capitoli 24–25 del vangelo di Matteo: il lettore arriva a questo passo subito dopo le parabole che riguardano l’atteggiamento di chi attende il ritorno di Gesù alla fine dei tempi (e di cui abbiamo letto un esempio domenica scorsa, con la parabola delle nozze), e dunque la scena del giudizio universale è il punto più elevato e importante del discorso.
Si celebra oggi la festa di Cristo Re, o, meglio, di «Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’universo», istituita l’11 dicembre 1925 da Papa Pio XI. Siamo al termine del presente anno liturgico, e con la prossima domenica prenderà avvio il tempo dell’Avvento. Però Gesù, ci dice il Vangelo, è un Re diverso da tutti i regnanti del mondo: mentre questi comandano dai loro palazzi, il trono del Messia Gesù è quello della croce. È un monarca che ha avuto bisogno di aiuto, di tutto. Dovremmo ricordarlo bene, perché sarà sulla base di quello che avremo fatto (o non fatto) ai poveri che saremo giudicati.