Percorrere risanati la via del Signore
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, Giovanni disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire: “Abbiamo Abramo per padre!”» Matteo 3,7-9
La liturgia della II domenica di Avvento presenta la figura di Giovanni il Battista come descritta nel Vangelo di Matteo (anno A): sappiamo di lui, da Luca, che ha la stessa età di Gesù, appartiene alla famiglia di Maria, «cugina» di Elisabetta, ed è per parte del padre, Zaccaria, di discendenza sacerdotale. Tutti gli evangelisti concordano: Giovanni «predica nel deserto», veste «con peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi», ha per cibo «cavallette e miele selvatico»; si ritira in aree in cui, da quanto conosciamo della Giudea dei tempi di Gesù, erano attivi centri religiosi che miravano a ristabilire l’antica purezza del sacerdozio e l’essenzialità della vita nella fede, ritenute perdute o offuscate dalla contaminazione con il mondo circostante, pervaso dalla cultura ellenistica. Accorrono a Giovanni, per farsi battezzare, tanti da «Gerusalemme, la Giudea e la zona lungo il Giordano». Quest’uomo puro, santo e timorato di Dio, amico del Signore, sceglie di stare solo con Lui e diventa luce e segno di speranza per il mondo: tutti riconoscono la Verità da lui proclamata, che viene direttamente da Dio, di cui egli è «Voce» (cfr. Isaia 40,3; Giovanni 1,23); è anche per questo che suo padre, simbolicamente, a seguito della propria iniziale incredulità perde la voce dal momento dell’annuncio del concepimento di questo suo figlio fino alla nascita: Zaccaria, come tutto l’antico sacerdozio israelitico resta in attesa della «Voce», è muto fino alla comparsa della «Voce» che parla secondo la Parola, che è Dio, e non secondo gli interessi e i compromessi umani. Giovanni non ha mezze misure per nessuno, apostrofa «farisei e sadducei che vengono al suo battesimo» come «razza di vipere» e manifesta che esiste un giudizio giusto per chi non compie «frutti degni della conversione» e si sente già salvo in forza di una stirpe, una condizione, la propria superba confidenza in sé stesso. La liturgia insiste sul senso profondo della conversione cui siamo specialmente invitati in Avvento, sulla giustizia che viene da Dio e che gli uomini, in terra, devono amministrare e realizzare con onestà: il Regno si costruisce così, eliminando le strutture di male e intervenendo perché si compiano i disegni giusti del nostro Signore.
CONVERTIAMOCI! «Tutto ciò che è stato scritto prima di noi è scritto per nostra istruzione, perché teniamo viva la speranza», ammonisce Paolo (Romani, II Lettura); non basta essere pii e religiosi, dobbiamo svegliarci, alzarci (I domenica) e agire (II domenica) per portare a ogni uomo la gioia (III domenica) della fede nella salvezza (IV domenica), perché Dio intervenga attraverso le nostre mani, la nostra intelligenza, i nostri talenti. Le letture descrivono con ricchezza di immagini i tempi messianici, in cui «fiorirà la giustizia e abbonderà la pace» (Salmo 121, Responsorio): allora gli uomini «non agiranno più iniquamente, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra» (Isaia 11, I Lettura). Conoscere Dio non è un fatto astratto: se io lo conosco le mie opere lo manifesteranno e io porterò luce, preparerò la via del Signore e la percorrerò senza paura, come Giovanni. Coraggio, convertiamoci e produciamo frutti concreti di Bene!