Pubblichiamo la "Lettera della settimana" tratta dai "Colloqui col padre" del N. 32 di Famiglia Cristiana
Caro don Antonio,
le scrivo con il cuore colmo di dolore, per mettere in guardia sul rischio dei tanto decantati Internet e social network: mio marito, due giorni fa, mi ha chiesto la separazione coniugale, proprio a causa di questi mezzi. La mia storia, da quanto sento in giro, non è così infrequente. Ho quarantasei anni, sono sposata da venti, un ottimo impiego, volutamente part time per poter meglio seguire la famiglia, un figlio naturale e un altro in affidamento. Mio marito è uno stimato e valido professionista, ex catechista, responsabile regionale di un’importante banca. Quindi, una famiglia apparentemente esemplare, molta agiata e, va da sé, anche tanto invidiata da molte persone.
Con mio marito ho sempre vissuto una vita serena, con reciproco rispetto, pur con le inevitabili difficoltà che implica la vita matrimoniale. Ma, a partire dall’anno scorso, lui è diventato più teso e irascibile. Attribuisco ciò alla morte di suo padre, ai problemi con il lavoro, all’allontanamento del figlio in affidamento (rubava in casa), al pessimo rendimento scolastico del figlio naturale, a causa di pericolose amicizie.
Per distrarsi si è iscritto a un noto social network, e ha riallacciato così i contatti con la sua fidanzata dei tempi universitari. È lui stesso a rivelarmelo. Lei è single divorziata, più giovane della sottoscritta e, quindi, non escludo anche più avvenente. Da allora la nostra vita coniugale è cambiata. Iniziano le critiche nei miei riguardi, i disaccordi sull’educazione dei figli, gli atteggiamenti prepotenti e sarcastici, i litigi sempre più frequenti. Fino all’epilogo dell’altro ieri.
E così, oggi, la nostra famiglia è sfasciata. Mio marito andrà a convivere con la ex fidanzata, mentre io perdo il suo appoggio e il suo affetto, e guardo con preoccupazione al futuro di nostro figlio privato di una famiglia solida ed esemplare, sempre più distaccato e ribelle, non ammesso all’esame di maturità per pessimo profitto a scuola. Sarei meschina se dicessi che è tutta colpa di mio marito, anch’io ho i miei difetti. A differenza di mio marito, però, ho fatto di tutto per salvare la nostra famiglia, perché pensavo fosse cosa buona e giusta. E, soprattutto, era mio dovere di cattolica. Ho pregato molto, anche se ora la mia fede rischia di andare in crisi.
Con sincerità e senza rancore, le ho raccontato la mia storia per mettere in guardia dai pericoli dei social network. È vero che è un mezzo di per sé neutro, e che dipende da come viene utilizzato, al pari di un coltello che può servire a tagliare il pane o, ahimé, a uccidere. Ma perché si rifiuta un coltello a un bambino e si vieta per legge il porto di alcune lame, se non a persone con regolari permessi? Una ragione ci sarà?
UNA LETTRICE
Risponde don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana
L’opinone che mi sono fatto, leggendo la tua lettera, cara lettrice, è che forse, in questo caso, Internet e i social network poco abbiano a che fare con la vostra crisi familiare. Certo, alla fine possono aver dato l’ultimo colpo. Ma sono ben altri i rischi da cui mettere in guardia rispetto a questi nuovi media che, come dici tu stessa, sono neutri e dipende dall’uso che ne facciamo. Possono contribuire ad accrescere la nostra confusione mentale e lo smarrimento esistenziale, facendoci vivere in una realtà virtuale, ma se ben usati ci aprono straordinarie possibilità in ogni campo, dalla conoscenza all’evangelizzazione.
A mio parere, il vostro matrimonio era già in crisi, prima ancora che tuo marito, tramite Internet, ristabilisse i contatti con la sua fidanzata dei tempi dell’università.
Sotto le ceneri di un’apparente felicità di una “famiglia solida ed esemplare”, invidiata all’esterno, covava una brace di insoddisfazioni, fatta forse di assenza di dialogo e rapporti interpersonali veri e profondi. Il matrimonio può essersi arenato nell’illusione che tutto andasse bene, dietro un velo di rispetto formale più che sostanziale.
Eppure, eravate una coppia perfetta, impegnata e solidale, considerata anche la vostra apertura all’affidamento di un ragazzo. Ma qualche campanello d’allarme avrebbe dovuto suonare proprio per l’insofferenza e i problemi che vivevano i vostri due ragazzi, quello naturale e quello in affidamento: uno ribelle e con amicizie pericolose, l’altro allontanato dalla famiglia perché rubava.
Scaricare ora tutta la responsabilità di un fallimento sull’uso dei social network mi pare fuorviante. Occorre, invece, riflettere e assumersi qualche responsabilità, al di là di un generico: «Anch’io ho i miei difetti». Le ragioni non vanno ricercate all’esterno, ma dentro sé stessi e all’interno del rapporto di coppia. Una concezione “doveristica” del matrimonio («era mio dovere di cattolica») non basta a salvarlo, se non si alimenta, ogni giorno, la fiamma dell’amore che ravviva il rapporto di coppia e quello con i figli.
D.A.