Caro direttore, come lei sa e come sapranno gli appassionati di musica che leggono il suo giornale scrivo canzoni e canto l’Italia da Bruxelles, città in cui vivo da vent’anni. Lo faccio sui palchi di mezza Europa e mi presento con il mio nome e con il mio accento entrambi italiani e difficili da nascondere, davanti a un pubblico che spesso non parla l’italiano. Sono un europeista convinto e mi sento europeo.
Non emigrante ma cittadino di questo continente multiforme. Vivo l’Europa ogni giorno insieme alle persone che frequento e la sogno sempre più politica, culturale, non solo monetaria ed economica. Da Bruxelles guardo la mia Italia e non la riconosco più. Fino a qualche anno fa aprivo i miei concerti con una canzone dal titolo “Sempre Avanti”, un inno alla speranza e all’ottimismo. Oggi mi tro-vo a pubblicare “Liberi”, una canzone che parla della nostra libertà in crisi.
Non sono cambiato io in questi anni, è cambiata la cornice che abbiamo intorno, il mondo che ci abbraccia. La mia generazione è cresciuta con la paura del terrorismo, degli attentati e con le città blindate. Torri gemelle, attentati a Londra, Parigi, Bruxelles, Nizza, Madrid. Dopo l’attentato al Bataclan c’è stato un coprifuoco di una settimana a Bruxelles. A quella paura la mia generazione ha reagito, sforzandosi di mandare avanti una vita il più possibile normale da cittadini europei liberi e in quegli stessi anni, insieme a mia moglie, abbiamo messo su una fa-miglia e fatto crescere tre figli.
Negli ultimi mesi, però, quando torno in Italia per incontrare la mia famiglia ritrovo un clima cupo, di paura, di isolamento, diffidenza, frizione. Come durante il terrorismo ci vengono tolte delle libertà personali in cambio di tanta paura e un po’ di sicurezza in più. Penso ai miei nipoti italiani e ai loro coetanei e mi chiedo come sia possibile che la nostra giovane ministra delle Politiche Giovanili non insorga davanti a una condizione che costringe questi ragazzi a subire la pressione del mondo dell’informazione che continua a ripetere sempre lo stesso mantra: lo facciamo per proteggerli!
Io ho l’impressione che più che proteggere loro stiamo generando scompensi difficilmente recuperabili e ho grande pena a vedere tutto ciò. Vedo ragazzi chiusi in casa, a sognare la vita attraverso uno schermo e pensare che la scuola sia poco più di un videogioco in rete, leggo di casi di autolesionismo e suicidio negli adolescenti e ricevo notizia dell’apertura di reparti psichiatrici dedicati ai ragazzi accanto ai nuovi reparti Covid. Qui il problema non è il vaccino, il green pass, il super green pass, le terapie intensive o le misure di contenimento. Di queste cose e della loro efficacia si può e si deve discutere, ma non è questo lo scopo della mia lettera.
Vorrei parlare dell’infanzia di una generazione, dell’infanzia dei miei e nostri figli, che, a giudicare dalle statistiche, non moriranno certamente di Covid, ma rischiano di perdersi e non ritrovarsi perché ormai avvolti da una visione del mondo nichilista e manipolata, che non vede davanti a sé un futuro, un progetto, una vita da salvare, un domani diverso dall’oggi. Una delle eredità più importanti della nostra cultura europea è l’accoglienza e l’apertura verso chi è diverso da noi.
E se la usassimo per smorzare le contrapposizioni, per cercare di creare un clima di solidarietà e rispetto reciproco? Mettendo al primo posto il riconoscimento del diritto alla vita, una vita vissuta a pieno? Continuare a usare la paura per governare un continente non ci regalerà l’Europa unita, o almeno quella che qui a Bruxelles noi italiani proviamo a generare ogni giorno. GIACOMO LARICCIA
Caro Giacomo, grazie per questa lettera, che evidenzia un problema che non viene abbastanza considerato: la situazione che stanno vivendo i nostri giovani, i nostri ragazzi. Una generazione, come scrivi, che rischia di perdersi e non ritrovarsi, perché «ormai avvolti da una visione del mondo nichilista e manipolata, che non vede davanti a sé un futuro, un progetto, una vita da salvare, un domani diverso dall’oggi».
Agostino Miozzo, medico della Protezione civile e coordinatore del Cts da febbraio 2020 a marzo 2021, ha sempre avuto un occhio di riguardo per la situazione scolastica che ha risentito tanto della questione Covid. Condivido il pensiero di Miozzo anche se in queste righe voglio solo proporre due riflessioni. Prima di tutto non penso che i governi, compreso quello italiano, stiano usando la paura.
Sono piuttosto preoccupati di contenere una pandemia che con tutte le varianti sta ancora tenendo sotto scacco i nostri Paesi. Le conseguenze negative nel lasciare andare le cose, senza controlli e disposizioni per la sicurezza di tutti, le abbiamo già viste in nazioni dove tutto questo non è stato fatto. In secondo luogo, però, i giovani, i ragazzi, i bambini, rischiano di essere di fatto dimenticati. Bene ha fatto, secondo me, il presidente Draghi a chiedere di tenere aperte il più possibile le lezioni in presenza. La Dad non va esclusa, ma sappiamo anche le conseguenze negative che può avere sulla salute psicologica dei nostri figli.
E a tutto ciò vanno aggiunti i problemi endemici della scuola che, come sottolinea Miozzo, l’emergenza sanitaria non ha fatto altro che evidenziare ancora di più. Bisogna allora fare qualcosa di più per la nuova generazione, offrire loro prospettive, incoraggiamento, accompagnamento. Dobbiamo star loro vicini, dialogare di più, ascoltarli di più. Penso ai genitori, ma anche agli insegnanti, ai catechisti, a tutti noi adulti: parliamo con loro, diamo loro fiducia, facciamogli capire che questo momento passerà e potrà renderli più forti, maturi, capaci di empatia con chi è in difficoltà.
Perché quando si è giovani si ha ancora tempo, si ha davanti un futuro da costruire, ci sono energie, idee, inventiva che non vanno represse. Sproniamoli ad aprirsi alla bellezza della fantasia e dell’immaginazione che è nel profondo del loro animo. Facciamo loro capire che li apprezziamo, che crediamo in loro, che li amiamo davvero. Aiutiamoli a reagire, con responsabilità e creatività