I gesti di Gesù sono carne e sangue
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!».
Marco 7,31-37
Gesù si trova in territorio straniero, in terra pagana (Decapoli). E anche fuori Israele continua a fare miracoli. Questa volta incontra un sordomuto, un uomo che non sentiva e con grandi difficoltà nel parlare (qualcuno traduce solo “balbuziente”, ma certamente in una forma grave).
Torna ancora il potere della mano: Gesù è un maestro guaritore che guarisce con la parola, chiamando e invocando, ma guarisce anche con il tocco della mano e qui delle dita. Nella Bibbia l’uso delle mani è ricorrente, soprattutto nei profeti. Nel Nuovo Testamento, anche in seguito all’esempio di Gesù, gli apostoli imporranno le mani, una pratica che diventerà poi centrale nella Chiesa. Un elemento che dice l’importanza del corpo nel modo di guarire di Gesù. La sua umanità è vera anche per l’importanza che ha sempre attribuito al corpo, al tatto, alla mano con la quale prende spesso per mano le persone che guarisce (la suocera di Pietro, la figlia di Giairo).
In questo episodio abbiamo anche il particolare della saliva, che aumenta la corporeità del suo gesto. La saliva era considerata, nell’antichità, particolarmente efficace nella guarigione di occhi (si pensi al miracolo del cieco nato) e orecchie. Marco, riprendendo tradizioni precedenti, enfatizza questo dettaglio, perché non era stravagante per i suoi uditori. I gesti di Gesù sono faccende corporee, sono carne e sangue. Quasi tutte le eresie, di ieri e di oggi, hanno cercato di ridurre o eliminare la centralità del corpo in Gesù e nel cristianesimo.
CONCRETEZZA E STOICITA'.
Gesù è vero uomo perché ha sofferto veramente in croce, perché è morto veramente, ma anche perché ha usato il corpo per i suoi miracoli: rendere i miracoli soltanto un “genere letterario”, togliendo loro storicità e concretezza, è lo stesso errore teologico di chi, nei primi tempi della Chiesa, ipotizzava che ad andare in croce fosse stato un sostituto di Gesù, perché la passione era troppo umana per poter essere anche divina. E invece quelle mani, quelle dita, quella saliva danno una immensa dignità alle mani dei medici e delle infermiere che curano, a quelle che abbracciano, a quelle che asciugano le lacrime degli altri, a quelle che accarezzano le fronti nei capezzali.
Al culmine di questo grande gesto di Gesù troviamo una delle pochissime parole riportate nella sua lingua: Effatà, una parola che Marco ha salvato, e noi lo ringraziamo per questo grido che così possiamo riascoltare in presa diretta.
L’udire e il parlare sono i due verbi decisivi della missione di Gesù, del suo annuncio del Regno. Spesso Gesù, sulla scia dei grandi profeti di Israele, rimprovera i suoi e le folle di avere occhi e non vedere, orecchi e non udire. Ed è quasi certamente suo il detto: «Chi ha orecchie intenda».
Allora quelle orecchie che si aprono e la gola che si scioglie dicevano molte cose ai primi cristiani che ascoltavano quel miracolo, che andavano oltre quello specifico evento della Decapoli. Le orecchie chiuse e la lingua dura erano anche le loro, mai abbastanza docili alla parola detta e ascoltata. E continuano a essere ancora le nostre.