Nella domenica che cade durante l’ottavario dei defunti la Chiesa ci invita a riflettere ancora sulla risurrezione: la I lettura (2Maccabei) presenta «il caso di sette fratelli e della loro madre» che, durante la dominazione seleucide, obbligati dal re pagano a compiere azioni contrarie alle leggi dei padri, dichiarano che è preferibile andare incontro alla morte piuttosto che agire in modo sgradito a Dio; e, mentre muoiono martiri per la loro fede, professano la propria certezza che il Signore li risusciterà. È la stessa fede di Paolo, che ammonisce i Tessalonicesi: «Dio ci ha dato una consolazione eterna e una buona speranza; Egli è fedele, custodisce dal Maligno» (II lettura). Il Salmo 16 (Responsorio) assicura che il Signore «protegge all’ombra delle sue ali» e ci chiama alla Vita in eterno: «Nella giustizia contempleremo il suo volto e ci sazieremo della sua presenza».
Nel Vangelo, Gesù, giunto a Gerusalemme e vicino ai giorni della sua Pasqua, è interrogato dai sadducei, «i quali dicono che non c’è risurrezione»: l’obiettivo di questi saggi, discendenti dalle antiche famiglie sacerdotali, è mettere in difficoltà il Maestro. Lo temono e sono preoccupati dell’influenza che ha sulle folle: tentano di screditarlo, di dimostrare che non è affidabile e che non sa risolvere questioni complicate. Gli sottopongono pertanto la storia di sette fratelli che, uno dopo l’altro, prendono in moglie la stessa donna per obbedire alla legge del levirato, pensata per tutelare l’istituto del matrimonio e le vedove che non avessero avuto figli (cfr. Genesi 38), per assicurare loro la protezione della famiglia del marito anche dopo la morte di lui e per garantire, alla donna e all’uomo, la possibilità di avere una discendenza che rimanesse nel contesto della genealogia dei due sposi (cfr. Deuteronomio 25,5-10). Il punto di vista dei sadducei su questa legge attribuita a Mosè, e di conseguenza sul matrimonio, è lontanissimo dal disegno di Dio, presentato in Genesi, nei racconti della creazione: lì emerge l’altissima dignità dell’adam maschio e femmina, fatto a immagine di Dio per essere in relazione, senza predomini dell’uno o dell’altra, che sono solo effetto del peccato; qui, nelle parole degli interlocutori di Gesù, la sposa è intesa come un possesso dell’uomo, sicché interessa soltanto capire “di chi sarà” quella donna.
LA VERITÀ DELLA CHIAMATA Gesù riconduce la discussione sul piano della verità della nostra chiamata: le relazioni che costruiamo sulla terra sono immagine e profezia di ciò che Dio ha pensato per la nostra eternità; quaggiù sono necessarie norme che ci orientino al Bene e ci trattengano dal compiere il male, perché ci minaccia il peccato, arma e «pungiglione della morte» (1Corinzi 15,56); là, nella Vita che non ha fine, vigerà la comunione dei santi, che supera ogni nostro limite: non servirà una legge o un vincolo per amare, non moriremo più; la morte, infatti, è frutto della mancanza di amore, effetto della tentazione del nemico che odia l’uomo, la sua vita e la sua vocazione all’eternità. Noi siamo «figli della risurrezione, figli di Dio», il «Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe»: «tutti viviamo in Lui».