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Una messa alla Chiesa del Gesù, una veglia di preghiera e il pellegrinaggio per attraversare la Porta Santa della Basilica di San Pietro. È il programma del Giubileo per le persone Lgbtq (è l’acronimo utilizzato per identificare lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e chiunque non si definisca eterosessuale, ndr), inserito nel calendario ufficiale dell’Anno Santo, organizzato dall’associazione "La Tenda di Gionata" e da altre associazioni che curano la pastorale per queste persone.
L'evento comincia venerdì mattina con un incontro promosso da Outreach (Usa) nella Casa generalizia dei Gesuiti in Borgo Santo Spirito con il gesuita americano padre James Martin – ricevuto lunedì scorso in udienza da papa Leone XIV – e le testimonianze di cattolici Lgbtq da diversi Paesi. Per sabato il programma della Tenda di Gionata, nonostante l'inserimento qualche giorno fa dell'udienza giubilare di Papa Leone in piazza San Pietro, è rimasto invariato.
Alle 11 ci sarà la Messa nella Chiesa del Gesù a Roma, presieduta da monsignor Francesco Savino, vicepresidente della CEI, e alle 14.30 il raduno a Piazza Pia per procedere in processione verso la Porta Santa della Basilica di San Pietro. A quest'ultimo evento è prevista la partecipazione di un migliaio di persone. In serata, previsto anche un momento conviviale promosso dal Global Network of Rainbow Catholics con cena a buffet per i pellegrini, un momento per conoscersi e ristorarsi, spiegano gli organizzatori.
Sul sito de "La Tenda di Gionata" sono state raccolte diverse testimonianze sul significato di questo evento: «Spesso», scrive Paolo Spina, medico, uno dei partecipanti al pellegrinaggio giubilare, «ci siamo sentiti messi ai margini, con la bocca chiusa, come sbarrata da un masso rotolato contro un sepolcro, ritenuto impuro, indegno, non adatto a testimoniare le meraviglie che il Signore ha operato in noi e con noi e ad annunciare il suo nome che è vita, amore e libertà alle sorelle e ai fratelli che incontriamo, nella Chiesa e nella comunità Lgbtq. È invece sorto quel mattino in cui, come quel sabato a Nazaret, è Gesù ad annunciare una Parola soprattutto per chi “vive in Galilea”, alla periferia del sacro, dove le dicerie dicono che non ci sia nulla di buono». Anke Budweg, arrivata dalla Svezia per questo Giubileo, racconta che «Come madre di due figli transgender mi sento davvero benedetta. Essere parte del loro cammino, imparare da loro e insieme a loro, è un dono che non scambierei con nulla al mondo».


«In questi anni», racconta Innocenzo Pontillo, fisoterapista toscano e presidente de La Tenda di Gionata, «ci siamo comportati come la vedova insistente della parabola: bussiamo, bussiamo ancora. A volte le porte si aprono, altre restano chiuse, ma noi non smettiamo di bussare. Il pellegrinaggio giubilare nasce così: non per creare un recinto, ma per camminare dentro la Chiesa. Non è un ghetto, ma un segno concreto di riconciliazione e rinascita. È l’occasione di dire che nella Chiesa nessuno deve sentirsi ospite indesiderato. Per me il Giubileo è proprio questo: ripartire, rimettersi in cammino, ricordando che la casa di Dio è di tutti i suoi figli e figlie. Per me il pellegrinaggio è la foto di un cammino e di una storia che esiste da decenni. Già negli anni ’80 nascevano in Italia i primi gruppi di credenti Lgbtq che dicevano: “Ci siamo anche noi”, ma solo oggi, in alcune diocesi, iniziano percorsi di accompagnamento nella pastorale ordinaria. Non è tutto risolto, ma non siamo più invisibili. Quando varcheremo la Porta Santa porteremo volti e storie: catechisti, ministranti, genitori, religiosi e religiose che già vivono e servono la Chiesa. E porteremo anche le ferite: penso ad Alfredo Ormando, che nel 1998 si diede fuoco in piazza San Pietro perché non riusciva a conciliare fede e identità. Noi cammineremo anche per lui, e per tanti come lui. Il nostro messaggio è semplice: nessuno dev’essere escluso dal Vangelo. A volte ci sentiamo come “pietre scartate”, ma il Signore ci ricorda che “la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo”».
Lunedì scorso, il Papa ha ricevuto in udienza padre James Martin, il gesuita da sempre vicino alle persone omosessuali e punto di riferimento per la pastorale di queste persone: «Sono stato onorato e grato di incontrare il Santo Padre e mi ha commosso ascoltare lo stesso messaggio che ho sentito da Papa Francesco sui cattolici Lgbtq, che è un messaggio di apertura e accoglienza», ha scritto Martin in un post sui social, «l'ho trovato sereno, gioioso e incoraggiante. Per me, è stato un incontro profondamente consolante. Il messaggio che ho ricevuto da lui, forte e chiaro, è stato che desidera continuare con lo stesso approccio promosso da papa Francesco, ovvero un approccio di apertura e accoglienza. Si è trattato quindi di un messaggio di continuità molto incoraggiante. Questo, nella mente di Papa Leone, è naturalmente legato alla “sinodalità”, l'idea che la Chiesa debba ascoltare persone di ogni estrazione sociale (comprese le persone Lgbtq) per diventare più aperta, più attenta, più accogliente e più inclusiva. Ancora una volta, questo è molto in linea con i desideri di Papa Francesco e con le sue famose parole “todos, todos, todos” per descrivere la Chiesa. Ciò è anche in linea con l'adesione pubblica di Leone alla sinodalità, non solo come delegato al Sinodo, ma come papa che nel suo primo discorso dopo l'elezione ha menzionato quella che ora è una “dimensione costitutiva” della Chiesa».



