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Cari amici lettori, in una società spesso portata al conflitto più che al “buon vicinato”, i “laboratori” per imparare la convivenza tra diversi non sono poi così tanti. Il primo laboratorio di convivenza multietnica è rappresentato senz’altro dai banchi di scuola: lì bambini e ragazzi di diverse provenienze giocano, condividono amicizie e interessi, apprendono un modo di stare al mondo.
Un secondo laboratorio, altrettanto significativo, è quello degli oratori presenti in tante parrocchie: una realtà che gode della fiducia di molte famiglie musulmane, che non esitano ad affidare ad essi i loro figli. C’è una realtà di fatto, molto umile e feriale, di “incontro”, anche interreligioso, tra bambini e ragazzi di diverse fedi (soprattutto musulmani), accanto ad animatori, educatori, preti.
A questa realtà, alle sue sfide ma anche alle sue opportunità, la Chiesa di Milano ha dedicato di recente Fede e accoglienza: l’oratorio come luogo di incontro interreligioso, un testo che propone una riflessione articolata sul tema e propone alcuni orientamenti pratici.
La sfida, delicata, è di salvaguardare da una parte la «relazione esclusiva con Cristo» propria dei cristiani, che però non deve tradursi dall’altra in «forme relazionali escludenti». La prima parte del documento disegna l’orizzonte di senso, i fondamenti teologici di un atteggiamento fatto di accoglienza e dialogo: il dialogo si ispira alla stessa «dinamica dell’Incarnazione, nella quale Dio non annulla la differenza ma la assume».
Insomma, l’accoglienza fa parte della “verità cristiana”, anzi la mostra in atto, è «vivere fino in fondo l’amore di Cristo». Dunque, l’oratorio deve diventare «una casa aperta a tutti». In questo senso, l’accoglienza è essa stessa, in qualche modo, «evangelizzazione» (ma non certo proselitismo né assimilazione dell’altro).
Nella seconda parte si passa poi a offrire una serie di criteri generali e di proposte concrete per dare forma a un oratorio autenticamente interreligioso, «senza azzerare le differenze», evitando «qualsiasi tipo di obbligo o di forzatura». Il criterio guida è di tenere insieme l’appartenenza confessionale (cristiana) dell’oratorio, che andrà sempre presentata a chi lo chiede, e dall’altra la possibilità di dare voce a tutti i linguaggi anche religiosi, valorizzando le differenze «senza omologarle, appiattirle o nasconderle».
Si raccomanda di evitare iniziative sincretiche (che mescolano cioè elementi di varie fedi); si suggerisce di attivare dei laboratori interculturali che favoriscano la conoscenza reciproca; si incoraggia la possibilità, dove il contesto lo permette, di tenere momenti di preghiera per bambini di altra religione (nel salone, nelle aule, nel campo all’aperto), che non diventino però alternativi al momento comunitario della preghiera di tutti; apre inoltre alla possibilità che gli animatori siano musulmani, dopo un attento dialogo con i singoli che lo chiedono.
Quello che si propone è insomma un approccio costruttivo e dialogico che valorizza le differenze come occasione di crescita per tutti, mantenendo alcuni criteri (accoglienza, conoscenza personale dei ragazzi, chiarezza nella proposta alla famiglia, rispetto della libertà, valorizzazione della presenza di ragazzi/e di altre fedi). Quasi sempre, la realtà precede la riflessione e la speranza prende corpo là dove non ci si aspetterebbe.
Le sorprese non nascono a tavolino ma nelle pieghe umili della realtà. Che vanno decifrate e accompagnate, come ha fatto la Chiesa milanese.
In collaborazione con Credere
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