Nella storia delle Giornate mondiali della gioventù (Gmg) – i raduni dei ragazzi cattolici di tutto il mondo nati a metà degli anni Ottanta dall’intuizione di Giovanni Paolo II – quella del Giubileo del 2000 a Roma fa storia a sé. Quasi due milioni di ragazzi arrivati nella Città Eterna; un Papa, Karol Wojtyla, già fiaccato dalla malattia e dall’età, rinvigorito dall’incontro sulla spianata del campus universitario di Tor Vergata. «Roma ricorderà a lungo questo chiasso e non lo dimenticherà più», disse a braccio, prima di congedarsi, riprendere l’elicottero e tornare in Vaticano al termine della Veglia del 19 agosto 2000. Venticinque anni dopo, Tor Vergata torna a ospitare il raduno dei giovani cattolici di tutto il mondo, sempre nell’occasione di un Anno Santo, e all’ombra della Croce in acciaio, alta quasi 40 metri e poggiata su una base di 7 metri per 6, dello scultore Gino Giannetti, realizzata nel 2000 e che ci sarà anche quest’anno accanto al palco papale, allestito all’ombra della Vela di Santiago Calatrava, che è stata finalmente ultimata, mentre per far arrivare al milione di giovani attesi la voce di papa Leone ci penseranno le 179 torri audio installate. Il punto più alto del palco-altare è di 23 metri. Leone XIV arriverà in elicottero attorno alle 19 e per un'ora e mezza, a bordo della papamobile, saluterà tutti i ragazzi prima della Veglia delle 20.30

Sabato e domenica prossimi, tra le prime file, siederà colui che di quell’incontro – e di tutte le Gmg, prima e dopo – è stato il regista e uno dei principali organizzatori: Marcello Bedeschi, classe 1940, marchigiano di Ancona, la cui storia personale e professionale ha incrociato Giorgio La Pira, il periodo post-bellico, sindaci e amministratori comunali italiani dal 1970, l’Azione Cattolica con Vittorio Bachelet, Mario Agnes e Alberto Monticone e ben tre Papi: Karol Wojtyla, appunto, con il quale ha avviato e portato avanti tutte le Gmg in qualità di presidente della Fondazione “Gioventù Chiesa e speranza”. In pratica il braccio operativo del Pontificio Consiglio per i laici, ora confluito nel Dicastero laici, famiglia e vita, e poi Benedetto XVI e Francesco.

Bedeschi, si ritorna a Tor Vergata. Che effetto le fa?

«Una grande emozione. Quei giorni per me restano indimenticabili. Lavorammo intensamente insieme alla Santa Sede, alla Protezione Civile e alla Conferenza episcopale italiana. Eravamo un gruppo giovane, molto coeso e affiatato. Tor Vergata era un’area dismessa, piena di buche. Qualcuno ci disse che eravamo un po’ matti a organizzare un evento del genere lì e alla fine è andata bene e ce l’abbiamo fatta. Ora quel campus appartiene alla città».

Quasi 2 milioni di giovani arrivarono a Roma. Avevate paura alla vigilia?

«C’era un po’ di preoccupazione, sì. Ma grazie al lavoro di squadra siamo riusciti a risolvere tante difficoltà e alla fine non solo è andato tutto bene ma quell’incontro tra Giovanni Paolo II e i giovani è entrato nella storia e nel cuore di molti ragazzi. Oggi a Roma sono arrivati i figli di quei giovani. La Gmg è un filo tenace che non si spezza».

Cosa vi diceva Giovanni Paolo II nel preparare quella Gmg?

«Era di una felicità enorme perché gli incontri con i giovani lo rinvigorivano, anche fisicamente, e negli occhi gli brillava una luce particolare. Prima della Gmg del 2000 lo incontrammo tre volte e ci dava consigli su come accogliere i pellegrini, su come sistemarli e diceva che avrebbero dovuto fare un po’ di fatica perché solo in questo modo si capisce cos’è un pellegrinaggio».

Che ricordo ha della Veglia del sabato sera?

«Il Papa, al termine, non voleva più andare via. Don Stanislao, il suo segretario personale, gli diceva che era tardi e che bisognava tornare e in Vaticano e lui, divertito, rispondeva: “No, no, aspettiamo ancora qualche minuto”. Era contento nel vedere quella marea umana davanti a sé cantare, applaudire, dopo la preghiera e le testimonianze. Qualche settimana dopo ci invitò tutti a pranzo per ringraziarci. Fu un momento pieno di risate e di allegria. Il Papa si informò con noi su come i ragazzi avessero accolto le catechesi dei vescovi, se avevano partecipato, se gli erano piaciute. Era attentissimo a quest’aspetto. La Gmg era nata nel 1984, durante il Giubileo straordinario della Redenzione, e nel 2000, durante un altro Giubileo, ebbe la sua consacrazione».

A proposito dell’incontro a San Pietro del 1984 il Papa parlò di “grande sorpresa” nel libro Varcare la soglia della speranza. Perché?

«La grande sorpresa per molti vescovi, ma non per il Papa, fu quella di vedere così largamente corrisposto – c’erano 300mila giovani in piazza San Pietro provenienti da 80 Paesi – un invito che sulle prime aveva suscitato non poche perplessità anche all’interno della Chiesa. Erano anni di rapporti non proprio idilliaci tra associazioni e movimenti ecclesiali, c’erano conflittualità e attriti, ad esempio, tra l’Azione Cattolica e Comunione e Liberazione, ed erano anche anni in cui, secondo una certa narrazione, della fede ai giovani non interessava più molto. C’era dunque il timore che l’incontro si rivelasse un flop. E in più circolavano riserve su una formula che alcuni giudicavano non più adatta ai tempi. Dopo quell’incontro, Giovanni Paolo II lanciò l’idea di ripetere l’esperienza ogni due anni a livello mondiale e ogni anno a livello diocesano».

Uno dei simboli di Tor Vergata 2000 fu la grande Croce posta accanto al palco papale che ci sarà anche quest’anno.

«Quella Croce ha una storia particolare e travagliata. Secondo alcuni studenti di Tor Vergata doveva essere abbattuta dopo il Giubileo. Altri, invece, volevano che restasse lì, a ricordo del Giubileo del 2000. Alla fine si fece un referendum interno tra tutti gli studenti e l’80 per cento disse che doveva rimanere. Utilizzarla in quest’occasione significa che i giovani di Tor Vergata di ieri e di oggi accolgono quelli che sono arrivati a Roma ed è anche un segno del filo rosso che lega le Gmg e le generazioni che vi partecipano».


Una ripresa dall'alto del campus di Tor Vergata con i pellegrini della Gmg del 2000 (Ansa)

Come ha conosciuto Giovanni Paolo II?

«In maniera rocambolesca. Quando mi stavo laureando il mio professore di tesi, Beniamino Andreatta, che è stato più volte ministro, esponente di primissimo piano della Democrazia Cristiana e poi tra i fondatori prima del Partito popolare e poi dell’Ulivo, mi propose di andare a un convegno all’Università Jagellonica di Cracovia dove era arcivescovo Karol Wojtyla. Lo dissi anche al mio vescovo di Ancona, Carlo Maccari, che conosceva Wojtyla perché erano stati “compagni di banco” durante i lavori del Concilio Vaticano II e da allora erano rimasti amici. Quando stavo per ritornare a Cracovia Maccari mi chiamò e mi consegnò una busta di dollari da portare in Polonia per sostenere i preti perseguitati dal regime comunista. Mi disse: “Invio diverse somme di denaro sotto forma di offerte per le messe per i defunti ma non so se arrivano, non ricevo mai un riscontro”. Quando andai a Cracovia scoprii che le buste venivano intercettate dalla polizia e non recapitate in Curia. Quando cadde il regime nella sede del Partito comunista di Cracovia uscirono molte di queste buste e i verbali di come, di fatto, venissero bloccate e non arrivassero mai a destinazione. Ma c’era un altro elemento che legava Giovanni Paolo II alla terra marchigiana».

Quale?

«Quando lo incontrai la prima volta a Cracovia, Wojtyla mi disse che era molto legato a Loreto, non solo per il Santuario mariano, ma anche perché un suo carissimo amico, e compagno di banco a scuola, era morto a Loreto durante la Seconda Guerra mondiale ed era stato sepolto lì, nel cimitero militare polacco. Quando veniva in Italia passava sempre per portare un fiore e dire una preghiera e lo accompagnai io personalmente nel 1978, qualche giorno prima che il Conclave lo eleggesse Papa».

La collaborazione per le Giornate mondiale della gioventù come nacque?

«Negli anni Ottanta ero dirigente nazionale dell’Azione Cattolica, chiamato da Vittorio Bachelet (assassinato nel 1980 dalla Brigate Rosse, ndr) e poi confermato dal suo successore, Mario Agnes. Durante un incontro in Vaticano, il Papa mi venne incontro e mi disse: “Dammi una mano” e così mi coinvolse in questa stupenda avventura che è andata avanti anche con Benedetto XVI e Francesco».


Qual è stata la Gmg più difficile?

«Sicuramente quella a Manila, nelle Filippine, nel 1995. La Veglia e la Messa finale si svolsero a Luneta Park. C’erano quasi 5 milioni di persone. La città era stata presa d’assalto dai pellegrini e muoversi era molto difficile. I filippini sono molto rispettosi delle regole però, all’epoca, non c’erano i settori, i varchi d’accesso erano un po’ confusi e ricordo che il Papa non riuscì ad arrivare in macchina per presiedere la Messa perché rimase bloccato nel traffico. Ci fu un po’ di fibrillazione. Alla fine lo portammo in un piccolo porticciolo a nord di Manila, da lì si imbarcò su un traghetto e riuscì ad arrivare dietro il palco. Quella fu una Gmg travagliata anche dal punto di vista diplomatico».

Racconti.

«Per la prima volta partecipò anche un gruppo di fedeli cinesi provenienti dalla Repubblica Popolare e Taiwan. All’epoca, in Cina, c’erano la “chiesa ufficiale”, legata al Partito, e quella “sotterranea”, legata a Roma e che riconosceva l’autorità del Papa. Ricordo che la notte prima della Messa un gruppo di sacerdoti cinesi legati al Partito che voleva concelebrare insieme a Giovanni Paolo II andò nella Nunziatura per prestare giuramento di fedeltà a Roma e a Pietro. Fu un gesto stupendo e commovente».

La Gmg più commovente?

«Roma 2000, senza dubbio».

L’ultima di Giovanni Paolo fu a Toronto, nel 2002. Che ricordo ha?

«Il Papa era molto sofferente, la malattia si faceva sentire e iniziava ad avere qualche problema alla vista. Quando arrivò a Downsiew Park, un ex aeroporto militare, per la Veglia del sabato sera chiese più volte a me e don Stanislao di avere i vescovi più vicini a lui sul palco: “Li sento lontani. Dove sono?”, ripeté più volte a don Stanislao. Come se volesse essere accompagnato e sostenuto di più. Il palco in effetti era costruito in maniera tale che cardinali e vescovi fossero più in basso rispetto al Papa. Però era di buonumore, allegro. La mattina dopo, prima della Messa, ci fu un imprevisto».

Quale?

«I ragazzi, come accade in tutte le Gmg, restano a dormire nei sacchi a pelo prima di partecipare alla Messa conclusiva. All’alba ci fu un temporale con un vento fortissimo che ci fece temere il peggio perché non sapevamo se confermare la celebrazione. Parlammo anche con il Papa che fu perentorio e ci disse di andare avanti. Quando iniziò la Messa ricordo che il temporale si placò, uscì il sole e un raggio andò a finire dritto dritto sull’altare e sul volto di Giovanni Paolo II. Lo vidi come un segno celeste, come se il Signore avesse voluto illuminare il Papa».


Lei ha collaborato anche con Benedetto XVI e Francesco per l’organizzazione delle Gmg.

«Sì. Ratzinger era molto timido, discreto e riservato ma nel 2008, durante la Gmg di Sydney, era contentissimo. Aveva il volto radioso, si sciolse molto, parlava con i ragazzi, scherzava. Tornò a Roma molto cambiato, quell’incontro gli aveva fatto molto bene e capì la forza della Gmg che riesce a mettere in relazione giovani e adulti, diverse generazioni, e i ragazzi con la Chiesa».

E papa Francesco?

«Capì la grande forza e portata evangelica delle Gmg nel luglio 2013 a Rio de Janeiro, a quattro mesi dall’elezione in Conclave, quando sulla spiaggia di Copacabana arrivarono tre milioni di fedeli. E da quel momento ha sempre incoraggiato questo appuntamento».

Anche se quella di quest’anno non è una Gmg, sarà il primo grande incontro di papa Leone XIV con i giovani.

«Prevost conosce molto bene il clima, il significato e l’importanza delle Gmg perché ha partecipato con il suo ordine degli Agostiniani accompagnando diversi gruppi. E poi è significativo che il suo primo incontro con i giovani coincida con l’Anno Santo come accadde con Giovanni Paolo II nel 1984. Abbiamo visto il suo stile di affetto e di vicinanza martedì sera quando, a sorpresa, è arrivato in piazza San Pietro per salutare i ragazzi spingendosi fino a via della Conciliazione per abbracciare tutti da vicino. La Gmg non è un evento ma un passaggio di testimone. Come diceva Giovanni Paolo II, è Pietro che chiama i ragazzi e li convoca attorno a Gesù. I Papi sono solo uno strumento».