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Cari amici lettori, si è appena concluso l’ultimo viaggio apostolico di papa Francesco, con la visita alla Chiesa in Mongolia (1-4 settembre): un viaggio emblematico, per un Pontefice «venuto dalla fine del mondo» che si muove alla volta di una Chiesa di “periferia” ai «confini della terra» (cfr. Atti 1,8) per confermare i fratelli nella fede. Ve ne diamo conto nel servizio alle pagine 8-13.
È stato un viaggio affascinante, che ricorda un po’ l’epopea delle prime comunità cristiane e i racconti edificanti degli atti dei martiri nei primi secoli. Una comunità cristiana, quella in Mongolia, piccola (arriva a malapena a 1.500 persone), sorta appena 30 anni fa sulle ceneri del comunismo, per iniziativa di pochi missionari arrivati in punta di piedi e disposti a «spendere la vita per il Vangelo»: una Chiesa cresciuta col passaparola e con l’attenzione agli umili e ai diseredati, che si sta radicando nella Parola, nei sacramenti e nella vita fraterna e testimonia con semplicità la gioia del Vangelo in mezzo a una cultura caratterizzata da altre tradizioni religiose.
La “piccolezza” è stata particolarmente sottolineata dal Santo Padre, con parole che fanno bene anche a noi, abituati fino a poco tempo fa a una Chiesa dai numeri consistenti e di grande rilevanza sociale, ma che oggi sperimenta – talvolta con nostalgia, altre volte con amarezza – il calo numerico ed è tentata da uno strisciante avvilimento che impedisce un cammino sereno e una testimonianza più decisa.
Francesco ha parlato di «una Chiesa povera, che poggia solo su una fede genuina, sulla disarmata e disarmante potenza del Risorto» e, prendendo spunto dalla statuetta della Madonna ritrovata da una donna mongola in una discarica (occasione per lei di venire a contatto con la fede cristiana, di cui non sapeva nulla), ha rimarcato: «La piccolezza non è un problema, ma una risorsa. Sì, Dio ama la piccolezza e ama compiere grandi cose attraverso la piccolezza, come Maria testimonia».
Occorre dunque imparare la via umile di Dio: «Non abbiate paura dei numeri esigui, dei successi che tardano, della rilevanza che non appare. Non è questa la strada di Dio», ha detto Francesco, invitando invece a guardare a Maria che «nella sua piccolezza è più vasta del cielo, perché ha ospitato in sé Colui che i cieli... non possono contenere».
Forse dobbiamo imparare a riconciliarci con la piccolezza. Senza attardarci troppo con lo sguardo sul nostro passato “glorioso”. Importante è invece radicarsi nell’essenziale, come notato il Papa richiamando l’immagine della ger, la tenda tipica della Mongolia, che apre una finestra verso il cielo e invita a un «atteggiamento di docile apertura agli insegnamenti religiosi».
Solo una Chiesa ancorata all’essenziale può essere una presenza che «sussurra» il Vangelo, che non ragiona con il linguaggio della forza e del potere ma con la mitezza e la cordialità verso tutti: «Il linguaggio di Dio, tante volte, è un sussurro lento, che prende il suo tempo. Egli parla così». Così la divina provvidenza ha “incubato” la Chiesa che è in Mongolia, piccolo gregge che si trova in una società dove è essenziale una testimonianza cristiana semplice, limpida, gioiosa.
Una lezione anche per noi: imparare ad avere uno sguardo diverso sulla piccolezza, vedendola non come sconfitta, ma come via di Dio per affermare la sua presenza nel mondo.



