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Il Papa durante la conferenza stampa in aereo
L’Italia potrebbe avere «un ruolo molto importante» per arrivare a una pace in Ucraina «per la capacità storica e culturale che ha l’Italia di essere intermediario in mezzo a un conflitto tra diverse parti. Anche tra Ucraina, Russia e Stati Uniti».
Papa Leone XIV risponde ai giornalisti sul volo di ritorno che lo riporta da Beirut a Roma e traccia un quadro della situazione mondiale. Poi preannuncia un viaggio in Africa, mette in guardia dall’intolleranza verso i migranti e verso i fedeli musulmani e critica l’ipotesi di Trump di invadere il Venezuela. Risponde in italiano, spagnolo e inglese a otto domande.
«Innanzitutto voglio dire grazie a tutti voi che avete lavorato tanto e vorrei che trasmettano questo messaggio anche agli altri giornalisti, sia in Turchia, in Libano, tanti che hanno lavorato per comunicare gli importanti messaggi di questo viaggio», dice papa Leone. «Allora grazie a voi, anche voi tutti meritate un applauso forte per il vostro lavoro, grazie».


Santità sono libanese quindi parlo in italiano se mi permette. Santità nel suo ultimo discorso, che credo sia molto importante, c’era un chiaro messaggio per le autorità libanese per negoziare, dialogare, costruire. Il Vaticano farà qualcosa di concreto in questo senso? Poi ieri sera lei ha visto anche un esponente sciita. Prima del suo viaggio a Beirut Hezbollah aveva mandato un messaggio, non so se lei l’ha ricevuto, l’ha letto e cosa ci potrebbe dire a riguardo. La ringrazio molto per aver visitato il Libano, che era un sogno per noi.
«Il viaggio è nato pensando a questioni ecumeniche, con il tema di Nicea, l’incontro i patriarchi cattolici e ortodossi e cercando unità nella chiesa, ma durante questo viaggio ho avuto anche incontri personali con rappresentanti di diversi gruppi che rappresentano in realtà autorità politiche, persone o gruppi che hanno anche qualcosa a che vedere con i conflitti interni o internazionali nella regione. Il nostro lavoro, principalmente, non è una cosa pubblica che dichiariamo per le strade, è un po’ dietro le quinte. Così abbiamo fatto e continueremo a fare per cercare convincere le parti a lasciare le armi e la violenza e venire insieme a tavolo di dialogo e cercare risposte e soluzioni che non sono violente ma possono essere più efficaci e migliori per il popolo»
Ed Hezbollah?
«Se l’ho visto? Evidentemente sì. C’è da parte della Chiesa la proposta che lascino le armi e cerchiamo il dialogo però più di questo preferisco non commentare in questo contesto».
Userà i suoi contatti con Trump e Netanyahu per far sì che Israele risponda di quello che fa? Pensa che una pace sostenibile è possibile nella regione?
«Sì, penso che si possa raggiungere una pace sostenibile. Ho già iniziato, in modo molto limitato, gli scambi con alcuni dei leader dei luoghi che lei menziona, e intendo continuare a farlo, personalmente o tramite la Santa Sede, perché abbiamo relazioni diplomatiche con la maggior parte dei paesi della regione, e sarebbe nostra speranza continuare a fare appello per la pace».
Di recente ha detto che sta imparando a fare il Papa, quando è arrivato ieri all’incontro con I giovani sembrava che dicesse “wow”. Cosa sta imparando? Qual è la cosa più difficile di essere Papa? E cosa ha provato durante il Conclave quando era chiaro che sarebbe stato eletto?
«Beh, direi che un paio di anni fa anche io ho pensato che un giorno sarei andato in pensione. Lei a quanto pare ha ricevuto questo dono! (la domanda è stata fatta da una giornalista che è al suo ultimo volo papale, ndr). Alcuni di noi invece continueranno a lavorare. Quanto al Conclave, credo rigorosamente alla regola del segreto, anche se so che ci sono state interviste pubbliche che hanno rivelato qualcosa. Il giorno prima di essere eletto una giornalista – mi ha presto per strada, stavo andando a pranzo dagli agostiniani dall’altra parte della strada – mi ha chiesto: ‘Cosa pensa, lei è diventato uno dei candidati’, e ho semplicemente risposto: ‘E’ tutto nelle mani di Dio’, e lo penso davvero. Un giornalista tedesco l’altro giorno mi ha chiesto qual è un libro che spiega chi sono, ce ne sono diversi, ma uno è The Practice of the Presence of God, è un libro molto semplice scritto da qualcuno che non dice neanche il proprio cognome, fratel Lawrence, scritto tanti anni fa. Descrive un tipo di preghiera e spiritualità nella quale uno dà la sua vita al Signore e gli permette di guidare. Se volete sapere qualcosa su di me, è questa la mia spiritualità per tanti anni, nel mezzo di grandi sfide, quando vivevo in Perù negli anni del terrorismo, quando sono stato chiamato al servizio in luoghi che non avrei mai pensato di essere chiamato a servire, mi fido di Dio e questo messaggio è qualcosa che condivido con gli altri. Come è andata (al conclave, ndr)? Mi sono rassegnato al fatto quando ho visto che le cose andavano in modo che poteva essere una realtà, ho fatto un gran respiro e ho detto: ‘Dio, sei tu che hai la responsabilità e tu che guidi’. Non so di aver detto ‘wow’ l’altra notte (nell’incontro con i giovani ndr) con la mia espressione facciale… sono spesso divertito da come i giornalisti interpretano la mia faccia. È interessante, a volte traggo grandi idee da voi perché pensate che potete leggere il mio pensiero o la mia faccia e non indovinate sempre. Per me è sempre meraviglioso vedere questi giovani, ascoltare il loro entusiasmo e la loro messaggio al messaggio a volte mi è di grande ispirazione».
In questo momento c’è tensione tra Nato e Russia, si parla di guerra ibrida: lei vede il rischio di escalation, che il conflitto venga portato avanti con nuovi mezzi, come denunciato dai vertici Nato? E in questo clima ci può essere una trattativa per la pace giusta senza l’Europa, che in questi mesi è stata sistematicamente esclusa dall’amministrazione americana?
«Questo è un tema evidentemente importante per la pace del mondo dove però la Santa Sede non ha una partecipazione diretta perché non siamo membri né della Nato né dei dialoghi finora, anche se tante volte abbiamo chiesto il cessate il fuoco, il dialogo e non guerra. Una guerra con tanti aspetti adesso, anche con l’aumento delle armi, tutta la loro produzione, i cyberattacchi e il tema dell’energia, molto serio adesso che viene l’inverno. È evidente che da una parte il presidente degli Stati Uniti pensa che possa promuovere un piano di pace che vorrebbe fare, e che anche almeno in un primo momento è stato, senza Europa, però la presenza dell’Europa è importante e quella prima proposta è stata modificata anche per quello che l’Europa stava dicendo. Specificamente penso che il ruolo dell’Italia potrebbe essere molto importante, per la capacità storica e culturale che ha l’Italia di essere intermediario in mezzo a un conflitto tra diverse parti, anche Ucraina Russia e Stati Uniti. In questo senso io potrei suggerire che la Santa Sede possa incoraggiare questo tipo di mediazione e si cerchi, o cerchiamo insieme, una soluzione che veramente potrebbe offrire una giusta pace, in questo caso in Ucraina».
Sta preparando viaggi in America latina per il prossimo anno? In Perù, Argentina, Uruguay?
«Sicuro sicuro non c’è niente, spero di realizzare un viaggio in Africa, sarebbe possibilmente il prossimo viaggio, è da confermare. Personalmente spero di andare in Algeria per visitare i luoghi della vita di sant’Agostino ma anche per continuare il dialogo e la costruzione di ponti fra il mondo cristiano e il mondo musulmano: la figura di sant’Agostino aiuta molto come ponte perché in Algeria è molto rispettato come figlio della patria. All’ipotesi di viaggi in qualche altro paese stiamo lavorando: evidentemente mi piacerebbe tanto visitare l’America latina, l’Argentina, l’Uruguay, che stanno aspettando la visita del Papa. Il Perù penso che mi riceveranno (ride), e se vado in Perù ci sono tanti paesi vicini. Ma il progetto non è ancora definito. Nel 2026 o nel 2027».
Parlando di America Latina, c’è molta tensione in Venezuela, c’è un ultimatum di Trump a Maduro perché si ritiri e una minaccia di operazione militare: cosa ne pensa?
«A livello di conferenza episcopale, con il nunzio, cerchiamo vie per calmare la situazione, guardando innanzitutto al bene della gente, perché spesso coloro che soffrono in questa situazione sono le persone normali, non le autorità. Le voci che arrivano dagli Stati Uniti cambiano a volte con una certa frequenza, bisogna vedere. Da una parte sembra che ci sia stata una telefonata tra I due presidenti, dall’altra parte sembra che ci sia la possibilità che ci siano attività, anche operazioni per invadere il territorio venezuelano. Non ne so di più. Penso davvero che sia meglio cercare strade per il dialogo, magari pressioni, comprese le pressioni economiche, ma cercare altri modi di cambiare, se è quello che gli Stati Uniti vogliono fare».
Alcuni cattolici in Europa pensano che l’islam sia una minaccia al cristianesimo in Occidente: secondo lei hanno ragione? Lei cosa direbbe loro?
«Tutti i colloqui che ho avuto durante il tempo che ho trascorso in Turchia e Libano, compreso quello con molti musulmani, è stato proprio concentrato sul tema della pace e del rispetto per le persone di altre religioni. So che di fatto non è sempre andata così. So che in Europa ci sono tante volte timori che sono però generati da gente che è contro l’immigrazione e prova a tenere fuori le persone di un altro Paese, un’altra religione, un’altra razza. In questo senso vorrei dire che abbiamo tutti bisogno di lavorare insieme, uno dei valori di questo viaggio è stato appunto attirare l’attenzione del mondo sulla possibilità del dialogo e dell’amicizia tra cristiani e musulmani. Penso che una delle grandi lezioni che il Libano può insegnare è mostrare al mondo un Paese dove islam e cristianesimo sono entrambi presenti e sono rispettati e che c’è la possibilità di vivere insieme, di essere amici. Le storie, le testimonianze che abbiamo sentito negli ultimi giorni di come le persone si aiutano a vicenda, cristiani e musulmani, entrambi avendo avuto ad esempio i loro villaggi distrutti, e dicono: possiamo stare insieme e lavorare insieme. Penso che queste siano lezioni che sarà importante che vengano ascoltate anche in Europa e in Nord America, e che dovremmo essere forse un po’ meno timorosi e cercare vie per promuovere il dialogo e il rispetto autentico».










