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Il Papa durante l'incontro ecumenico e interreligioso nella piazza dei Martiri, a Beirut
dalla nostra inviata a Beirut
«La nostra grande speranza è che la Sua visita al nostro Paese porti con sé ogni possibilità di successo e rechi il frutto del rafforzamento dell’unità nazionale vacillante, in questo Paese piagato, a causa della continua aggressione israeliana contro il suo popolo e la sua terra». Va dritto al punto lo Sceicco Ali El-Khatib, vicepresidente del Consiglio Islamico Sciita Superiore, nel dare il benvenuto al Papa. Per i leader religiosi, musulmani, cristiani, drusi, riuniti in piazza dei martiri, la presenza di Leone rappresenta una grande speranza perché «che la Santa Sede ha sempre considerato un “messaggio” e non un Paese ai margini della storia». Spiega, il leader sciita, anche la resistenza armata dicendo che «siamo convinti nella necessità dell’esistenza dello Stato, ma, in sua assenza, siamo stati costretti a difendere noi stessi resistendo all’occupante che ha invasato la nostra terra, e non siamo certo amanti delle armi, né del sacrificio dei nostri figli». Alla luce della situazione, però, «poniamo la questione del Libano nelle Sue mani, con tutte le Sue capacità a livello internazionale, affinché il mondo possa aiutare il nostro Paese a liberarsi dalle crisi accumulate, in primis l’aggressione israeliana e le sue conseguenze sul nostro Paese e sul nostro popolo».
Anche papa Leone parla, nel suo discorso, della complessità e della lunga durata dei conflitti. Non cita esplicitamente Israele, ma tutti sanno che lo sguardo è rivolto soprattutto al Sud dove continuano gli attacchi. «Eppure, in mezzo a queste lotte, si può trovare speranza e incoraggiamento quando ci concentriamo su ciò che ci unisce: la nostra comune umanità e la nostra fede in un Dio di amore e misericordia», sottolinea. L’esempio del popolo libanese è un esempio per tutti. Perché, «pur abbracciando religioni diverse» continua a dire che «paura, sfiducia e pregiudizio non hanno qui l’ultima parola, mentre l’unità, la riconciliazione e la pace sono sempre possibili».


I fedeli in attesa del Papa a Beirut
(REUTERS)Soprattutto contando sulle radici forti che risiedono nell’amore e nel rispetto della dignità umana. Lo ricordano i leader sunnita, sciita, greco-ortodosso, siriaco-ortodosso, druso, armeno-ortodosso, protestante, alauita, dopo che il patriarca siro cattolico Ephrem Joseph Younan aveva dato il benvenuto, in questo luogo, la piazza dei martiri, simbolo di resistenza. Qui dove i libanesi che si rivoltarono contro i turchi ottomani vennero impiccati, nel 1931, non era scontato che, quasi 95 anni dopo cristiani e musulmani potessero ritrovarsi assieme.
E invece lo fanno, con una presenza che, all’ombra «dei campanili e dei minareti che stanno fianco a fianco - eppure entrambi si slanciano verso il cielo - testimonia la fede duratura di questa terra e la persistente dedizione del suo popolo all’unico Dio».
L’auspicio è che «possano suonare insieme ogni campana e ogni adhān: possa ogni richiamo alla preghiera fondersi in un unico inno, elevato non solo per glorificare il misericordioso Creatore del cielo e della terra, ma anche per implorare di vero cuore il dono divino della pace».
Papa Leone viene salutato, dai leader musulmani, come un grande ospite del Libano. «Benvenuto tra i tuoi fratelli e le persone che le vogliono bene», dicono mentre gli augurano «successo nel guidare la nave cristiana per il bene dell’umanità in conformità con il documento sulla Fratellanza umana firmato dal grande imam di Al Azhar e dal compianto papa Francesco». Il Libano, lo Sceicco Abdullatif Darian. Mufti della Repubblica del Libano «è la terra di questo messaggio sulla fratellanza umana, ne alza la bandiera e perciò ci consideriamo, insieme, incaricati religiosamente, concretamente e moralmente a portare la fiaccola di questa fratellanza perché la sicurezza e la pace prevalgano nel mondo».
I leader mettono il Libano nelle mani di Leone e Leone cita il popolo come un esempio per il mondo. La missione rimane quella di «testimoniare la verità duratura che cristiani, musulmani, drusi e innumerevoli altri possono vivere insieme, costruendo un paese unito dal rispetto e dal dialogo». Dialogo e riconciliazione che, spiega ancora citando la Dichiarazione Nostra Aetate, sono «nell’amore, unica base per la pace, la giustizia e la riconciliazione». Parole che qui, dove il sangue è stato più volte versato, non sono parole banali. La capacità di superare i pregiudizi, le discriminazioni e le persecuzioni «affermando l’uguale dignità di ogni essere umano» sono un esempio per il mondo.
Lo dicono ragazzi e ragazze, cristiani e musulmani, che riescono a vivere insieme. Lo fanno a Tripoli, dove la cittadinanza è per metà musulmana e per metà cristiana, lo fanno delle scuole dove si svolgono con regolarità incontri interreligiosi per essere educati alla cittadinanza attiva. Lo fanno i leader religiosi che, come spiega il patriarca maronita Bechara Rai, «proprio come leader dobbiamo dare l’esempio: questo è il nostro ruolo e il nostro messaggio».


L'attesa dei fedeli tra le strade di Beirut
(REUTERS)E Leone ricorda che Gesù venne in queste terre, e, nella regione di Tiro e Sidone, ebbe l’incontro con la donna che lo implorò di guarire la figlioletta. «Perciò», spiega, «questa terra significa più di un semplice luogo d’incontro tra Gesù e una madre implorante: diventa un luogo in cui umiltà, fiducia e perseveranza superano ogni barriera e incontrano l’amore sconfinato di Dio, che abbraccia ogni cuore umano». In effetti, prosegue, «questo è il nucleo stesso del dialogo interreligioso: la scoperta della presenza di Dio al di là di ogni confine e l’invito a cercarlo insieme con riverenza e umiltà».
Alle spalle del palco rotondo in cui si ripete in diverse lingue la parola «pace», il vento muove i rami del cedro. Ma «se il Libano è rinomato per i suoi maestosi cedri, anche l’olivo rappresenta una pietra miliare del suo patrimonio», dice Leone, alludendo al piccolo albero che pianteranno insieme. «L’olivo», prosegue, «non solo abbellisce lo spazio in cui ci riuniamo oggi, ma è anche lodato nei testi sacri del Cristianesimo, dell’Ebraismo e dell’Islam, servendo come simbolo senza tempo di riconciliazione e pace».
Dal questa pianta è tratto «un olio che guarisce – un balsamo per le ferite fisiche e spirituali – manifestando la compassione infinita di Dio per tutti coloro che soffrono. Inoltre, l’olio fornisce anche luce, richiamando l’appello ad illuminare i nostri cuori attraverso la fede, la carità e l’umiltà».








