dalla nostra inviata a Beirut

«Rialzati Libano!». Per essere «profezia di pace per tutto il Levante». Papa Leone, nella messa per la pace e la giustizia che conclude il suo viaggio nel Paese dei cedri, sprona la popolazione a non cedere alla tentazione delle armi e a coltivare quei cuori disarmati che aprono nuovi orizzonti.

A non cadere in quella che spesso ha chiamato «globalizzazione dell’impotenza». Perché anche se si è «appesantiti dalle fatiche della vita, preoccupati per i numerosi problemi che ci circondano, paralizzati dall’impotenza dinanzi al male e oppressi da tante situazioni difficili», bisogna sforzarsi di coltivare atteggiamenti di «lode e gratitudine.

I fedeli durante la Messa
I fedeli durante la Messa

I fedeli durante la Messa

(REUTERS)

Lo dice a un popolo stremato, per anni, da conflitti interni, guerre civili, invasioni. A un Paese ricco di una rara bellezza cantata anche nella Bibbia, ma «oscurata da povertà e sofferenze, da ferite che hanno segnato la vostra storia». Ricorda che è appena stato «a pregare nel luogo dell’esplosione, al porto». E denuncia il «contesto politico fragile e spesso instabile, la drammatica crisi economica che vi opprime, la violenza e i conflitti che hanno risvegliato antiche paure».

In questo scenario il Papa, nell’omelia pronunciata sulla spianata del lungomare, con i militari dell’Unifil, la forza di interposizione di pace che limita l’instabilità nel Sud del Paese, in prima fila, i tanti sacerdoti di tutte le confessioni venuti a salutare il Papa e gli oltre 150 mila partecipanti alla messa, Leone chiama alla speranza. Anche quando la luce è piccola e i motivi di ringraziamento sembrano pochi. Perché, dice citando il Vangelo, «il Regno che Gesù viene a inaugurare ha proprio questa caratteristica di cui ci ha parlato il profeta Isaia: è un germoglio, un piccolo virgulto che spunta su un tronco, una piccola speranza che promette la rinascita quando tutto sembra morire».

Una suora durante la Messa del Papa a Beirut
Una suora durante la Messa del Papa a Beirut

Una suora durante la Messa del Papa a Beirut

(REUTERS)

Come i piccoli del Vangelo il popolo libanese sembra vedere i «piccoli semi piantati nell’arido giardino di questo tempo storico». Penso, dice Leone, «alla vostra fede semplice e genuina, radicata nelle vostre famiglie e alimentata dalle scuole cristiane; penso al lavoro costante delle parrocchie, delle congregazioni e dei movimenti per andare incontro alle domande e alle necessità della gente; penso ai tanti sacerdoti e religiosi che si spendono nella loro missione in mezzo a molteplici difficoltà; penso ai laici come voi impegnati nel campo della carità e nella promozione del Vangelo nella società. Per queste luci che faticosamente cercano di illuminare il buio della notte, per questi germogli piccoli e invisibili che aprono però la speranza nel futuro, oggi dobbiamo dire come Gesù: “ti rendiamo lode, o Padre!”. Ti ringraziamo perché sei con noi e non ci lasci vacillare».

Non è una consolazione mistica perché deve portare all’impegno concreto nella realtà. Impegno che significa anche «non cedere alla logica della violenza e all’idolatria del denaro», non rassegnarsi «dinanzi al male che dilaga. Ciascuno deve fare la sua parte e tutti dobbiamo unire gli sforzi perché questa terra possa ritornare al suo splendore. E abbiamo un solo modo per farlo: disarmiamo i nostri cuori, facciamo cadere le corazze delle nostre chiusure etniche e politiche, apriamo le nostre confessioni religiose all’incontro reciproco, risvegliamo nel nostro intimo il sogno di un Libano unito, dove trionfino la pace e la giustizia, dove tutti possano riconoscersi fratelli e sorelle e dove, finalmente, possa realizzarsi quanto ci descrive il profeta Isaia: «Il lupo dimorerà con l’agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme».

Questo, dice con forza, «è il sogno a voi affidato, è ciò che il Dio della pace mette nelle vostre mani. Libano, rialzati! Sii casa di giustizia e di fraternità! Sii profezia di pace per tutto il Levante!»