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Caro direttore, al di là della correttezza del comportamento dei ragazzi che avendo raggiunto i crediti necessari per la promozione hanno deciso di non sostenere l’orale (forse non rispettoso dell’istituzione scuola e dei professori), non le sembra esagerata la reazione del ministro che dal prossimo anno vuole bocciare chi boicotta l’esame?
Sono studenti brillanti (altrimenti non avrebbero potuto sfidare così la scuola), quindi meritevoli e coraggiosi. Da sempre compito della gioventù è di voler rovesciare il sistema. E, in fondo, la loro protesta è stata non violenta. Un tempo c’era chi lo faceva con le molotov…
ROBERTA
Caro don Stefano, gli studenti che si sono rifiutati di fare l’orale alla maturità sono un segnale di disagio, di un passaggio naturale nella presa di coscienza della propria diversità generazionale.
Di fronte ai rapporti virtuali e al rarefarsi di esperienze nei nostri oratori e nell’associazionismo come l’AC e gli scout, alla scuola viene oggi chiesto una performance formativa ed educativa molto maggiore di un tempo.
Gli insegnanti devono essere psicologi, educatori, animatori, consiglieri, orientatori, vice-padre e vice-madre, tuttologi...
Dobbiamo accogliere questi studenti e guidarli, ma devono anche capire che nella scuola si deve imparare a dialogare, a perdere, a confrontarsi, a scontrarsi, a dialogare.
PROF. ANTONIO SILVIO CALÒ
La questione è nota: Maddalena e Gianmaria si presentano all’esame orale di maturità scegliendo di contestare il sistema scolastico invece di rispondere alle domande della commissione.
Questo dopo aver regolarmente partecipato alle prove scritte e certi ormai della promozione (calcolata con parametri che permettono di raggiungere il minimo anche prima della stessa prova orale).
La bellunese Maddalena Bianchi ha riconosciuto che nella sua scuola la preparazione è stata ottima, ma ha contestato che si è ridotta a “esamificio”, che è dominata dalla logica della competitività, che gli studenti vengono stimolati a primeggiare invece che a collaborare tra loro e i professori sono più interessati ai voti che agli alunni. «Da parte dei docenti non c’è mai stata la voglia di scoprire la vera me», ha denunciato la ragazza.
Gianmaria Favaretto, padovano, in modo simile ha contestato il sistema scolastico, che valuta la maturità degli studenti solo sulla base dei voti, generando loro stress e creando un brutto clima di competitività tra i ragazzi. Una scuola, insomma, che forse prepara anche bene, ma che pensa solo alla formazione intellettuale.
Il ministro Valditara, dal canto suo, ha minacciato di modificare le norme, bocciando quegli studenti che boicotteranno per protesta l’esame di maturità. Una norma tampone che segue la linea legislativa punitiva di questo Governo, che dovrà però essere accompagnata da una riflessione sull’efficacia della scuola nel preparare alla vita i nostri giovani.
Si può anche riconoscere una certa dose di coraggio a Maddalena e Gianmaria, che hanno rinunciato a un voto finale alto (anche se non alla promozione) per far valere le loro idee.
Sarebbe interessante sapere, però, se hanno scelto l’esame finale per manifestare la loro protesta contro il sistema scolastico o se non abbiano, invece, agito anche prima, entrando in contraddittorio con quello stesso sistema (ricordo straordinarie ore di religione a dibattere tutti sulle grandi questioni del tempo…).
E, magari, coinvolgendo i compagni: le molotov di qualche decennio fa erano accompagnate da sogni perseguiti molto male – certo! – ma insieme.
In ogni caso, se i sogni e le aspirazioni di Maddalena e Gianmaria hanno tutto il diritto di essere coltivati e di conoscere magari anche forme di protesta esplicite, mi sembra però che così facendo abbiano mancato di rispetto ai membri delle commissioni, che in fondo erano lì per loro.
Sono poi d’accordo sul fatto che in certe situazioni la pressione e la competitività possano risultare pesanti e demotivanti, causando stress e depressione nei più fragili. E comunque questo spesso non è solo la scuola a farlo, ma anche tanti genitori che caricano sulle spalle dei figli le loro alte aspettative.
D’altronde la gioventù è quella straordinaria età dove sogni il mondo perfetto, dove aspiri a una fratellanza universale, dove sogni che tuoi sogni incontrino quelli degli altri, dove speri in un mondo che non conosca inimicizie, competizioni, lotte di potere.
Scopriranno là fuori, invece, a partire dall’università e poi nel mondo del lavoro, che l’umanità è organizzata diversamente. Lì contano capacità e competenze, lì non di rado la raccomandazione ha il suo perché, lì la bella presenza gioca il suo ruolo. Nel mondo delle aziende e del pubblico troveranno non di rado gruppi di potere, ingiustizie varie e, soprattutto, cordate a cui dovranno decidere se aderire o se, invece, giocarsi a caro prezzo la loro libertà.
Si confronteranno, infine, con giovani di altri continenti più affamati e, non di rado, più preparati di loro.
E per chiudere, sono d’accordo col professor Calò: le competenze di dialogo e confronto sono grandi risorse nella vita che la scuola può e deve aiutare a sviluppare. Con pazienza e amore.



