Tanta pubblicità e le sale cinematografiche migliori. Così Israele haaccolto Wadjda, un film girato dalla regista Haifaa al-Mansur, originaria dell'Arabia Saudita. Il caso è clamoroso per tante ragioni.

In primo luogo, l'Arabia Saudita non ha un'industria cinematografica. Al contrario: negli ultimi 40 anni non è stato aperto nessun cinematografo, tanto che esiste un vero "turismo filmico" dei sauditi verso il confinante Bahrain. Per girare la regista ha dovuto usare mille trucchi, compreso quello di dare i ciack da un furgone per non essere vista in pubblico mentre interagiva con gli uomini della troupe.

Seconda ragione: il film viene proiettato in Israele solo grazie alla casa di produzione, tedesca, perché non vi sono accordi di distribuzione tra l'Arabia Saudita e Israele, per ragioni ovviamente politiche.

Terzo: il film è piuttosto eccezionale anche per la storia che racconta, quella di una ragazzina saudita di 10 anni che sogna una bicicletta anche se nel suo Paese è vietato alle donne andare in bici. A dispetto dei divieti, la ragazzina comincia a metter da parte i soldi per comprarsi la bicicletta, mentre nel frattempo mette in atto ogni sorta di astuzia per farsi beffe degli adulti, dei professori e persino delle autorità religiose che vogliono impedirle di realizzare il suo sogno.

Wadjda, la ragazzina, è ovviamente una metafora della condizione della donna in Arabia Saudita. E il sogno della bicicletta rimanda immediatamente alle polemiche, anche recenti, sul fatto che le donne saudite non possono guidare l'automobile. Al-Mansur, la regista, ha condotto il suo film con ironica grazia. Sarà un caso, ma poco dopo l'uscita del film la casa reale saudita ha revocato il divieto alla bicicletta per le donne.