Domenica dopo l'Ascensione

 

Il brano del Vangelo di Giovanni che ascoltiamo nella liturgia della domenica dopo l’Ascensione è tratto dalla parte conclusiva del grande discorso che Gesù fa ai suoi discepoli nel corso dell’ultima Cena.

Quest’ultima sezione consiste in una preghiera, detta “sacerdotale”, che Gesù rivolge al Padre quasi a mo’ di testamento. Un testo molto complesso, non di immediata comprensione, anche per il linguaggio usato dall’evangelista.

C’è un termine che ricorre per ben tredici volte nell’invocazione di Gesù ed è la parola «mondo», che nel quarto Vangelo si riferisce a ciò che nella realtà si oppone e contrasta l’azione di Dio. Il Padre ha preso dal «mondo» i discepoli e li affidati a Gesù. Ora però è giunta la sua ora ed essi dovranno rimanere nel «mondo» senza più la presenza materiale del Maestro.

Non sarà facile: come Gesù è stato rifiutato, anch’essi saranno odiati, perché né Lui né loro sono dal «mondo». Nonostante ciò, è proprio al «mondo» che il Maestro li manda così come Lui è stato mandato dal Padre.

Se nella sua preghiera Gesù sottolinea la separazione tra i suoi discepoli e il «mondo», ancor di più insiste sulla loro permanenza in esso. Essi sono diversi dal «mondo» non per via di qualche privilegio, ma per aver accolto la parola di Dio e averla osservata.

È dunque importante che essi rimangano nel «mondo» e la loro differenza non si manifesti tanto nell’abbandonarlo quanto nel viverci continuando ad essere fedeli alla rivelazione ricevuta. Come il «mondo» è stato il luogo del loro incontro con il Maestro, così in esso deve realizzarsi la loro missione e la loro testimonianza.

Gesù, dunque, prega per loro perché nel «mondo» non siano abbandonati e chiede al Padre di compiere due azioni: preservarli dal male e mantenerli legati a sé nella verità della parola che ha donato loro.

Finché era nel mondo, Gesù ha custodito e protetto i suoi dal male e nessuno di coloro che gli sono stati dati si è perso, a eccezione di Giuda.

La presenza di un traditore tra i Dodici testimonia quanto sia reale la libertà umana di accogliere o rifiutare l’annuncio di Gesù, ma anche la serietà dell’impegno che comporta il Vangelo portato dal Maestro.

Al Padre, inoltre, Gesù chiede di custodire i suoi perché possano sperimentare tra di loro il legame d’amore che unisce il Padre e il Figlio. Ne hanno fatto già esperienza nell’amore con cui sono stati amati, ma tra le insidie del «mondo» potrebbero perdersi e smarrire la via dell’amore e dell’unità, lasciandosi ingannare dalle menzogne e dalle opere del «principe del mondo».

Perché questo non accada Gesù invoca la consacrazione dei suoi, cioè la partecipazione intima e profonda al mistero di vita e di amore che è il Padre. In questo sta la sorgente della vera gioia che Gesù desidera in pienezza per i suoi e per tutti coloro che accolgono la sua parola: il riconoscimento che la propria esistenza proviene, è accompagnata e verrà accolta da una sorgente inesauribile di vita e di amore. Ciò che Gesù chiama Padre e a cui consegna i suoi.