Il comandamento dell’amore è al cuore della celebrazione della V Domenica del Tempo pasquale. Il brano di Atti, che ascoltiamo come prima lettura, descrive l’esperienza di profonda comunione che caratterizzava la comunità primitiva nella quale, a una grande armonia d’affetti, si accompagnava la concretezza dei gesti di condivisione. Anche la seconda lettura ci invita a stare sul tema della carità come anima della vita cristiana, descrivendola effi cacemente con un elenco puntuale di comportamenti in cui declinarla.

Con il testo di Giovanni che fa da lettura evangelica si torna alla sorgente di tutto ciò, con le parole che fondano l’agire cristiano centrato sull’amore. La lavanda dei piedi è appena stata compiuta. Giuda, inghiottito il “boccone del traditore”, lascia il Cenacolo con l’animo posseduto dal Maligno («Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui», Giovanni 13,27).

Da qui in avanti, gli insegnamenti del Maestro sono rivolti a un gruppo ristretto, fi gura e paradigma della Chiesa che sorgerà dalla Pasqua. Il tema che Giovanni tratta in questa sezione del suo scritto è proprio la fede post-pasquale, cioè l’esperienza di chi è chiamato a credere in Gesù, dopo la sua morte-risurrezione- ascensione al Cielo.

Il verbo «glorificare», ripetuto per cinque volte in due versetti, si prende la scena. Biblicamente, tale verbo è legato alla manifestazione di Dio nella storia e tra gli uomini. Applicandolo a Cristo come «Inviato dal Padre » l’evangelista suggerisce che la «gloria» del Figlio consiste nel rivelare il volto di Dio. Di rifl esso, il Padre è glorificato quando viene rivelato il suo amore incondizionato per l’umanità e questa rivelazione, per Giovanni, si realizza perfettamente nella Croce di Gesù. E alla luce di questo Gesù lascia, a mo’ di testamento, un insegnamento «nuovo».

In realtà, il precetto dell’amore nella tradizione ebraica non è certo una novità, ma l’idea che in esso si possa aff rontare l’assenza fi sica del Maestro invece è qualcosa di originale. L’altro grande elemento di novità sta nel fatto che Gesù si pone come esempio e come fondamento dell’amore. È perché lui per primo ha amato che i discepoli possono amare in un modo «nuovo », definito dal «come» di Gesù. La lavanda dei piedi e la croce sono il momento esplicativo di quel «come»: i discepoli possono/devono amare nel servizio umile e nel dono della propria vita. In questo modo Gesù non resta un personaggio passato, ma è «presente» nella vita del discepolo. Obbedendo al comandamento i discepoli si aprono alla presenza di Gesù, che si realizza proprio nell’amore che Lui ha insegnato – servire, dare la vita – di cui è l’unica sorgente.

Nell’opporre «ora» e «più tardi» in risposta alla domanda di Pietro, Gesù lascia intendere che il tempo del vero discepolato sarà quello dopo la sua partenza, dopo la Pasqua. Solo allora lo si potrà «seguire» nel senso più pieno e proprio. La sua salita al cielo aprirà loro la possibilità di vivere perennemente alla sua presenza.