Il ritornello che questa domenica accompagna il canto del Salmo 95, «Annunciate a tutti i popoli le opere di Dio», è di grande aiuto per comprendere la pagina del Vangelo, riguardante l’invio degli Undici a tutte le genti. Questo brano è alquanto opportuno, poi, per la celebrazione odierna della “domenica del mandato missionario”. Procediamo con ordine.
Oggi la Chiesa ambrosiana, nella domenica dopo la Dedicazione della sua cattedrale, ci ricorda che la comunità ecclesiale non è una compagnia di amiconi, ma sussiste per la missione. Nel 1975 papa Paolo VI scriveva: «La Chiesa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella santa Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione» (Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi).
E arriviamo così al Vangelo, che presenta una situazione curiosa riguardante l’annuncio del Regno ai pagani. Se si legge la prima indicazione che Gesù dà agli inviati, nel cosiddetto discorso missionario, vi si trova il divieto di andare dai gentili e da coloro che erano assimilati ad essi, cioè i Samaritani: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele» (Matteo 10,5-6). Non devono stupire queste parole di Gesù, perché per l’evangelista Matteo egli è il Messia di Israele che deve prima compiere la sua missione per gli ebrei. È la stessa ragione per cui rifiuterà, almeno inizialmente, di compiere un miracolo per una donna straniera (Matteo 15,21-28). Da questo punto di vista, la conclusione dello stesso primo Vangelo è sconcertante: qui, contrariamente a quanto aveva detto prima, nel discorso missionario, ora Gesù invia gli Undici ai pagani. Cosa è accaduto?
Noi suggeriamo che la “svolta epocale”, la “Pentecoste” di Matteo, è possibile perché a parlare ora è il Risorto. Gesù aveva inizialmente proibito la missione ai pagani, e ora, come Giona che risale dopo tre giorni dal ventre della terra, autorizza la missione a “Ninive”: si doveva compiere prima la missione di Gesù per Israele, e poiché il Messia ha dato la sua vita per il suo popolo, allora – avendo concluso la missione di radunare i dispersi – può dedicarsi alle altre pecore che non sono di quel popolo (cf. Giovanni 10,16).
Se vogliamo, si può aggiungere che per andare in missione, per annunciare il Vangelo agli “altri”, per parlare a chi è lontano e vive o pensa molto diversamente da noi, bisogna morire. Si deve capire, in altre parole, che avvicinarsi agli altri – come ha fatto lo stesso Gesù nei confronti degli Undici che l’hanno abbandonato o rinnegato («si avvicinò e disse loro…», Matteo 28,18) – non è affatto scontato, e costa molto dal punto di vista umano e spirituale. Questa speciale missione, infine, è possibile non per le forze di chi parte, ma perché viene da Gesù, a cui è stato dato «ogni potere in cielo e sulla terra».
Oggi la Chiesa ambrosiana, nella domenica dopo la Dedicazione della sua cattedrale, ci ricorda che la comunità ecclesiale non è una compagnia di amiconi, ma sussiste per la missione. Nel 1975 papa Paolo VI scriveva: «La Chiesa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella santa Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione» (Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi).
E arriviamo così al Vangelo, che presenta una situazione curiosa riguardante l’annuncio del Regno ai pagani. Se si legge la prima indicazione che Gesù dà agli inviati, nel cosiddetto discorso missionario, vi si trova il divieto di andare dai gentili e da coloro che erano assimilati ad essi, cioè i Samaritani: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele» (Matteo 10,5-6). Non devono stupire queste parole di Gesù, perché per l’evangelista Matteo egli è il Messia di Israele che deve prima compiere la sua missione per gli ebrei. È la stessa ragione per cui rifiuterà, almeno inizialmente, di compiere un miracolo per una donna straniera (Matteo 15,21-28). Da questo punto di vista, la conclusione dello stesso primo Vangelo è sconcertante: qui, contrariamente a quanto aveva detto prima, nel discorso missionario, ora Gesù invia gli Undici ai pagani. Cosa è accaduto?
Noi suggeriamo che la “svolta epocale”, la “Pentecoste” di Matteo, è possibile perché a parlare ora è il Risorto. Gesù aveva inizialmente proibito la missione ai pagani, e ora, come Giona che risale dopo tre giorni dal ventre della terra, autorizza la missione a “Ninive”: si doveva compiere prima la missione di Gesù per Israele, e poiché il Messia ha dato la sua vita per il suo popolo, allora – avendo concluso la missione di radunare i dispersi – può dedicarsi alle altre pecore che non sono di quel popolo (cf. Giovanni 10,16).
Se vogliamo, si può aggiungere che per andare in missione, per annunciare il Vangelo agli “altri”, per parlare a chi è lontano e vive o pensa molto diversamente da noi, bisogna morire. Si deve capire, in altre parole, che avvicinarsi agli altri – come ha fatto lo stesso Gesù nei confronti degli Undici che l’hanno abbandonato o rinnegato («si avvicinò e disse loro…», Matteo 28,18) – non è affatto scontato, e costa molto dal punto di vista umano e spirituale. Questa speciale missione, infine, è possibile non per le forze di chi parte, ma perché viene da Gesù, a cui è stato dato «ogni potere in cielo e sulla terra».


