La parola del profeta irrompe. E rompe il silenzio deprimente di un’esistenza crepuscolare, malferma e smarrita. Una voce è soltanto un soffio che risuona. Eppure quando è il soffio divino, invita alla gioia perché fa intravvedere la salvezza, il senso pieno del vivere. Allora la vita, sia pure per poco, si trasfigura, la luce torna a brillare, la presenza di Dio si sperimenta in una promessa che, facendo sussultare il cuore, restituisce vita in pienezza. La luce che brilla nelle tenebre non dissipa magicamente il buio, ma ci off re la forza di viverci dentro senza che continuiamo a pensare che non ci sia altro che quel buio. La gioia di buone notizie è gioia di vivere. Ma perché mai dovremmo credere a questa parola? Perché “fa effetto”, produce, feconda: infatti ci rimette in cammino, ci fa uscire dalla stanza che è diventata una gabbia, ci riempie di una gioia che rasserena e fa vedere tutte le cose in una prospettiva di benevolenza, gratitudine. E siccome la gioia è contagiosa, ci fa desiderare di condividerla: ci fa amare.

Possiamo allora ascoltare le parole di Paolo ai Romani, che ribadiscono l’elezione di Israele ed esprimono il desiderio della sua redenzione. Non dovremmo volere l’esclusione di alcuno dalla salvezza di Dio. Figuriamoci se possiamo negarla a coloro dai quali abbiamo ricevuto le Scritture e il nostro Maestro Gesù. Qualcuno dirà: ma loro non vogliono riconoscere Gesù. E noi? Vogliamo? Hanno rifiutato Gesù. E noi? L’abbiamo accolto? Il Vangelo è davvero buona notizia se lo sperimentiamo come un gesto di divina misericordia, prima di tutto nei nostri confronti: tutti disubbidienti e peccatori; tutti amati, anzi amatissimi, per pura misericordia. L’amore del Padre per noi non può che essere vissuto come l’offerta di cura che viene dal suo cuore, che vibra davanti alle nostre miserie.

Nel racconto di Matteo, Gesù risponde al dubbio di Giovanni il Battista, che dal carcere manda i suoi discepoli a chiedergli se è lui l’inviato di Dio o si deve aspettarne un altro. Il Maestro non rimprovera Giovanni, riconoscendo così la pertinenza del suo dubbio. È difficile accettare un Messia che non si impone e non prende il potere con la forza. Lo invita però, attraverso gli occhi e le orecchie degli inviati, a prendere atto di ciò che si può finalmente ascoltare e vedere. Merita di rileggere queste meravigliose parole: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». È un annuncio da ascoltare, ma insieme comincia a diventare visibile: vite ferite e diminuite grazie a Gesù si riprendono, in un crescendo di sei figure di riscatto. Fino ai poveri che finalmente ricevono il Vangelo. Ma la settima, l’apice dell’esperienza salvifica possibile qui e ora, è la felicità (= beatitudine) di chi non si scandalizza che queste attenzioni divine siano per persone tanto marginali. Beato te, Giovanni, se non ti arrabbi e dubiti perché nell’elenco manca la liberazione dei prigionieri.